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notizia del 23/01/2010 messa in rete alle 20:45:22
Da Rosarno a Gela impossibile dimenticare
Una coppia di lavoratori, dei molteplici che nel corso di almeno un ventennio hanno piegato le schiene e mutato la consistenza delle mani all'interno dei campi calabresi, si muove ai bordi di una strada provinciale, tanto anonima quanto battuta da automezzi di ogni tipo, all'alba di una lunga giornata di lavoro, da condurre nel freddo invernale, mentre dal lato opposto della carreggiata un branco di cani, forse a loro volta intontiti dall'improvviso arrivo della tersa luce mattutina, si sposta seguendo un ordine gerarchico impossibile da violare: “a volte mi sembra di essere come loro, mi sento un cane bastonato”, questa la confessione che uno dei due uomini, già provato ancor prima che l'intensità bruta della raccolta gli si scarichi fin dentro le membra, destina al suo compagno di ventura.
Era l'inverno del 1993, quelle ombre che si aggiravano sul selciato di una strada, tutta contornata da terreni agricoli, appartenevano a raccoglitori africani, in procinto di raggiungere la fermata giusta, ovvero la migliore piazzola di sosta presso la quale attendere, infreddoliti e doloranti a causa delle fatiche accumulate il giorno precedente, il “passaggio” di un intermediario, di un caporale, in grado di condurli in direzione di venti o venticinque mila lire: a tanto, infatti, poteva ambire, e continua a farlo, un lavoratore migrante a Rosarno.
Uno degli esseri umani, passato, alla stregua di moltissimi altri, dalle campagne rosarnesi, e presente quella fredda mattina di diciassette anni fa, quando ad incrociarlo era solo uno sparuto gruppo di cani randagi, vive oggi a Gela, città alla quale ha dedicato sedici anni della sua vita.
Messaoud Kabachi, nato ad Algeri, ha abbandonato definitivamente l'attività legata ai campi, riuscendo ad avviare una piccola, ma assai frequentata, bottega artigiana: perline, coralli, oro, hanno sostituito il ruvido sentore provocato dal continuo sfregare delle proprie mani intorno a piante, generatrici di ogni sorta di frutto o materia prima.
– Messaoud, per quanto tempo hai lavorato a Rosarno e come sei riuscito a pervenirvici in quel lontano 1993?
«In quel periodo ero dipendente di un'azienda metalmeccanica di Bologna sottoposta, però, ad una sospensione dell'attività: in presenza di una simile situazione decisi di cercare una qualche temporanea alternativa che mi potesse impegnare fino a quando il mio datore di lavoro originario non mi avesse richiamato. A Rosarno, comunque, sono rimasto alcune settimane».
– Possiamo affermare che l'area della Piana di Gioia Tauro è stata la tappa conclusiva di una tua personale “missione” lavorativa?
«In effetti si è verificato questo; il mio primo ingaggio lo ottenni nelle campagne perugine, cercavano raccoglitori di tabacco, una delle più diffuse produzioni di quel territorio; successivamente mi sono spostato molto più a sud, in Puglia, in provincia di Foggia, lì ho raccolto pomodori, sotto un sole fortissimo ed un caldo simile a quello africano; da quella regione, a conclusione della fase del raccolto, mi sono trasferito in Calabria, raggiungendo Rosarno, paese che mi era stato indicato da amici più esperti: il mio obiettivo, in realtà, era quello di acquisire un gruzzolo sufficiente affinché potessi comprare il biglietto ferroviario di ritorno in direzione Bologna, purtroppo i soldi messi da parte erano finiti, arrivai in Calabria, infatti, senza aver pagato il tagliando, praticamente nascosto per evitare che il controllore mi potesse scoprire».
– Quali sono state le tue sensazioni appena arrivato: pensi che le violenze documentate durante gli ultimi giorni si sarebbero potute manifestare anche diciassette anni fa?
«Mi dispiace dirlo ma le immagini che oggi hanno fatto il giro del mondo sono solo il culmine di continue ed incomprensibili intimidazioni; ti faccio solo un esempio, nel 1993 appena arrivai a Rosarno la prima cosa che mi venne detta da chi lavorava insieme a me riguardava l'impossibilità di uscire tranquillamente la sera: mi consigliarono, infatti, di non muovermi da solo la sera, per nessun motivo mi sarei dovuto azzardare, le strade che collegavano la zona dei campi al centro cittadino erano insicure, c'era il rischio che gruppi di ragazzi, spesso minorenni, ti aggredissero portandoti via i soldi della giornata. Gli insulti erano la normalità».
– In che condizioni vivevi? Ti riconosci nelle immagini trasmesse dalle emittenti nazionali?
«Io mi ero stabilito all'interno di un grande casolare abbandonato, lo dividevo con molti altri africani e qualche raccoglitore dell'est europeo: appena raggiunsi Rosarno mi fu indicato questo posto, la maggior degli occupanti dormiva sopra materassi, alcuni sopportabili, altri, invece, a mala pena accettabili; purtroppo nessuno aveva un contratto, tutti quelli che ho conosciuto lavoravano alla giornata, c'era un accordo con i caporali che prendevano dalle cinque alle dieci mila lire per singola persona: le intimidazioni, fisiche e psichiche, non mancavano neanche durante lo svolgimento dell'attività».
– La sorpresa e l'indignazione dimostrate in queste settimane sono allora del tutto fuori luogo?
«Io posso solo dirti, in base alla mia esperienza personale, che quelli di oggi sono tutti commenti veramente ipocriti: il lavoro nero, lo sfruttamento della manodopera, gli insulti, gli agguati, erano evenienze conclamate già nel 1993, senza che nessun giornale di rilievo nazionale ne parlasse; solo oggi, quale risposta al coraggio dimostrato da molti lavoratori, gli “inconvenienti” di Rosarno sono noti a tutti: gli unici ad averne avuto da sempre consapevolezza sono stati i raccoglitori stranieri, arrivati fino in Calabria solo ed esclusivamente per lavorare; le arance della Piana di Gioia Tauro sono solo un mezzo per poter guadagnare qualche soldo, e nulla più: la reazione avuta dagli aggrediti è la normale conseguenza di un destino in bilico tra una manciata di euro e settimane intere a nutrirsi di agrumi. La dignità umana deve sempre avere la precedenza, così è nell'islam e così è per il cristianesimo. Un uomo non può mai essere degradato allo stato di animale da bastonare in continuazione: arriverà, prima o poi, il momento nel quale il cane inizierà a ringhiare contro il suo padrone».
Autore : Rosario Cauchi
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