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notizia del 23/01/2010 messa in rete alle 20:41:18
Migranti in terra di emigrazione
Gela, al pari dei principali centri della provincia di Caltanissetta, non è meta di consistenti ventate migratorie: gli uomini e le donne che decidono di abbandonare i rispettivi paesi d'origine perseguono l'obiettivo di migliorare la loro condizione economica con il lavoro, adeguatamente retribuito e, qualora possibile, sufficientemente stabile; la nostra città, da questo punto di vista, non può di certo ritenersi un desiderato Eldorado.
Le proibitive caratteristiche del territorio gelese non scoraggiano comunque chi volesse avventurarsi nei meandri del locale sistema lavorativo, tale da produrre una sorta di economia informale, tutta imperniata sul terziario e sui servizi sociali, rigorosamente extra-istituzionali.Struttura inevitabilmente idonea ad attirare i meno tutelati e i più disponibili all'assunzione di incarichi contornati da pochi diritti e molti doveri: i lavoratori immigrati a Gela crescono di anno in anno.
Non è in alcun modo semplice compiere una disamina del tutto precisa dei movimenti migratori in città, soprattutto a causa del fatto che i nuovi arrivati approdano in un vero e proprio “porto” di partenza per centinaia di giovani e meno giovani, costretti a loro volta ad emigrare innanzi ad una sconfortante percentuale di disoccupazione, stabile intorno al trenta percento da almeno un ventennio: né l'avventura dell'Eni né quelle, ancor più fallimentari, di altri pionieri della piena occupazione hanno sortito effetto alcuno.
Ma a cosa ci riferiamo quando parliamo di immigrazione, in entrata, a Gela?
Stando ai dati, aggiornati al 31 Dicembre 2009, forniti dal “Servizio Comunale Movimento Migratorio e Variazioni”, retto da Provvidenza Reale, non è difficile accorgersi di talune condizioni divenute praticamente strutturali.
Passeggiando per le vie del centro storico è quasi impossibile non imbattersi nelle conversazioni intrattenute, magari all'interno di piccoli balconi comunicanti, da giovani o più mature donne provenienti, per la gran parte, dall'est europeo, così come spingendo la porta d'ingresso di un bar o di un panificio non è raro chiedere un caffè o alcune pagnotte a dipendenti stranieri.
Il dato di fatto conferma le risultanze scaturenti dai registri redatti dall'autorità comunale, competente al monitoraggio degli stranieri comunitari presenti a Gela: in totale 323, con una netta prevalenza di cittadini romeni, complessivamente 282, anche se non mancano, ristretti in ridottissimi nuclei, britannici, francesi, bulgari, lettoni, lituani, polacchi, spagnoli, tedeschi ed ungheresi; ai quali si aggiungono individui giunti dall'esterno dei virtuali confini europei, ovvero 348, tra uomini e donne, provenienti, in prevalenza, dai paesi del Magreb africano, dall'Albania e dalla Cina.
Le nuove presenze si dipanano, in prevalenza, da un'altra nazione da poco divenuta parte fattiva dell'Unione Europea, la Romania, esportatrice di migliaia di propri cittadini, costretti ad abbandonare lo Stato di nascita al fine di garantire un futuro più stabile ai parenti rimasti in patria: sono romene, infatti, le badanti presenti all'interno di molte abitazioni del centro storico, e non solo, così come dalla medesima terra provengono molte delle braccia impiegate dagli imprenditori agricoli nelle campagne del circondario gelese.
Romeni, ed in numero inferiore, polacchi, riescono, tra mille difficoltà ed incomprensioni, a sostenere quel welfare informale, tanto in voga nelle regioni attanagliate da una sistematica crisi economica ed occupazionale: comunitari al pari degli italiani ed al contempo visti alla stregua di soggetti distanti ed inconciliabili con la cultura occidentale del tutto e subito.
Si occupano in prevalenza degli anziani o, ancora, degli invalidi, indotti, in molti casi proprio dal disagio lavorativo dei propri congiunti trasferitisi al di fuori dei confini cittadini, a richiedere l'assistenza di donne destinate a vivere costantemente sotto osservazione.
Le aree rurali costituiscono, inoltre, la seconda fonte di approvvigionamento di manodopera migrante, comunitaria ed extracomunitaria: romeni, bulgari, polacchi, affiancati da tunisini, marocchini ed albanesi, si industriano nella raccolta, accontentandosi di pochi euro rispetto a quelli previsti dai contratti nazionali, decisamente inosservati, allo scopo di sbarcare il tanto agognato lunario e riuscire ad adempiere le scadenze mensili, la rata dell'affitto su tutte.
Ad un'eterogenea comunità migrante, composta quasi esclusivamente da lavoratori dipendenti, se ne affianca una parallela e per molti versi poco esplorata, quella formata da cittadini cinesi, titolari di destini del tutto dissimili da quelli degli altri extracomunitari: se questi ultimi, infatti, ricoprono qualifiche, quasi esclusivamente di basso grado, rientranti nella tanto citata categoria dei “lavori che i giovani italiani non vogliono più fare”, i primi, viceversa, sono, perlomeno a Gela, protagonisti di uno sviluppo commerciale senza precedenti, gli esercenti locali sono costretti ad abbassare le saracinesche mentre quelli cinesi continuano ad acquistare o affittare nuovi locali allo scopo di installarvi ulteriori punti vendita.
Al commercio su grande scala cinese, dipendente da prodotti, soprattutto tessili, di produzione autoctona o, comunque, confezionati in Italia da aziende controllate da imprenditori asiatici, si aggiunge quello ambulante condotto da taluni giovani africani oppure, novità degli ultimi anni, da migranti pachistani e bengalesi: dall'aziendalizzazione cinese all'altrui mera sussistenza.
Il ragionamento fin qui svolto si compone, però, di fattori scaturiti da una tendenziale regolarità dei rapporti lavorativi, necessaria ai fini dell'avvio della procedura di rilascio del permesso di soggiorno, in favore dei lavoratori extracomunitari, o di quella di iscrizione nei registri dell'anagrafe comunale per i comunitari: purtroppo, però, molti altri migranti sfuggono ad ogni tentativo di monitoraggio poiché vittime di un vero e proprio sistema di sfruttamento, rivolto alla riduzione di fondamentali diritti a fronte di prestazioni complesse e faticose; l'assenza di un regolare contratto si pone quale insuperabile handicap esistenziale, destinato alla garanzia di una totale emarginazione, umana ed istituzionale.
Alcune testimonianze ottenute all'interno dell'ufficio comunale di “Servizio Movimento Migratorio e Variazioni” non esitano a collocare in alcune migliaia le presenze migranti irregolari, poiché non accompagnate da permesso di soggiorno, sul territorio gelese: i 675 regolarmente censiti costituirebbero, così, una minima parte di un più ampio gruppo di senza diritti.
Autore : Rosario Cauchi
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