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notizia del 23/01/2010 messa in rete alle 20:40:36
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La Raffineria non chiude al massimo qualche fermata
Nessun timore di chiusura o fermo definitivo alla raffineria di Gela. Parola del segretario provinciale della Uilcem Uil Silvio Ruggeri, neopromosso componente del direttivo regionale della Uil durante il congresso regionale tenutosi a Palermo la scorsa settimana.
Tutt’al più, la raffineria subirà un fermo di un paio di mesi con una raffineria che marcia non a pieno regime (50-60%) ma in equilibrio, tanto da non marginare né profitti né perdite, in attesa che lo scenario mondiale migliori. La Raffineria, anche se ufficialmente non se ne parla, si sta attrezzando per fare una fermata tecnica della linea 1 e 3 consentendo così che le maestranze facciano quelle manutenzioni che non son state fatte a settembre dello scorso anno. Si tratta di un espediente che non risolve il problema di Gela, si mette solo una pezza rinviando ad altri tempi il varo degli investimenti programmati.
“Se in questi due mesi – afferma Silvio Ruggeri (nella foto) – non ci attrezzeremo per fare sbloccare l’iter delle autorizzazioni, il problema si ripresenterà in tutta la sua gravità. Vero è che abbiamo firmato gli accordi per investimenti di 980 milioni, ma è anche vero che parte di quegli investimenti sarebbero partiti al momento dell’arrivo delle autorizzazioni ministeriali. Al momento è stata solo autorizzato il rifacimento della caldaia numero cinque, i cui lavori sono stati appaltati e daranno quindi un po’ di ossigeno a raffineria ed indotto. Poi bisognerà continuare con le altre caldaia e la copertura del parco coke”.
Con Ruggeri il Corriere ha voluto affrontare incidentalmente i problemi connessi con la sopravvivenza della raffineria, ma ha inteso affrontare temi di ampio respiro riguardanti le modalità e la qualità del futuro della nostra città. E’ chiaro che la fabbrica e tutto l’indotto ad essa ruotante è stata da oltre cinquant’anni la struttura portante della nostra economia con tutti gli aspetti positivi e negativi che ne sono derivati. Solo che la nostra economia con l’essere troppo dipendente dall’industria, ne ha risentito al punto che gli altri settori dai quali, prima dell’avvento dell’Eni, traeva una forte fonte di reddito sono caduti via via in crisi.
Di questo stato di cose la nostra classe dirigente politica che si è alternata alla guida della cosa pubblica, ne ha preso coscienza e spesso ha tentato di ricorrere a strumenti legislativi e interventi a sostegno dell’agricoltura, dell’edilizia, turismo, artigianato, marineria, ma ogni tipo di intervento si è limitato solo ai proclami e ad appelli di tipo elettoralistico senza mai incidere sul tessuto economico da determinare una svolta. Si è parlato più volte di poter coniugare industria, ambiente ed agricoltura, ma si è trattato sempre di enunciazioni di principio. La domanda che ci si pone è se siamo preparati a trovare l’alternativa all’industria e attraverso quali modalità.
“L’ho sempre sostenuto – ricorda Ruggeri – di non avere mai visto un comprensorio che viva di sola industria, o di sola agricoltura o di solo turismo. Oggi l’industria è la parte economica più preponderante nel nostro territorio, ma è un male, perché sarebbe stato necessario creare in parallelo anche le alternative. Occorreva pensare a strutture tali avrebbero dovuto favorire altre attività economiche parallele. Chi avrebbe dovuto occuparsi di questo aspetto? Certamente la politica. Sono i politici che legiferano, danno autorizzazioni, che creano le condizioni perché imprenditori esterni vengano nel territorio per creare attività collaterali ed ecocompatibili che si possono legare all’industria. Non capisco perché queste cose nella riviera adriatica possono convivere e nel nostro territorio no. Ci deve essere qualcosa che non funziona”. Ruggeri ha la piena convinzione che l’industria in linea generale si può coniugare con i settori sopra menzionati. “Quando si è privilegiato il terziario – continua l’esponente sindacale – ed abbiamo abbandonato la chimica, l’informatica, la ricerca, cosa ci resta? Ecco dove i politici devono guardare e riflettere. Il sindacato non può legiferare, ma denunciare e proporre. C’è un comprensorio che potrebbe essere attenzionato e utilizzato e non per ultimo le aree dismesse dalla fabbrica e bonificate come si deve potrebbero attirare investimenti producendo nuova occupazione. Il rischio che stiamo correndo è che stiamo perdendo l’occupazione delle piccole aziende. C’è un’azienda, per esempio, che ha dismesso l’attività ancor prima di cominciare a produrre. Si tratta di 24 posti di lavoro”.
E Ruggeri continua facendo nomi e congnomi, citando l’Ecorigen, un’azienda che rigenera catalizzatori che, dopo l’ultimo incidente, non riceve più contratti di lavorazione dalla Erg e dalla Total, che hanno preferito la Francia e il Belgio. Quest’azienda riceve commesse solo dall’Eni. Manifesta tutta la sua preoccupazione perché le prospettive future non sono purtroppo rosee ed a suo avviso è necessario avviare una discussione ed un tavolo concertativo dove si possa fare progettualità e programmazione.
Autore : Nello Lombardo
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