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notizia del 11/02/2007 messa in rete alle 20:21:38
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Il sindacato del comparto dei chimici pronto a battersi per salvare l’Etilene
Era da tempo che non ascoltavamo il sindacato su temi politici e sugli accadimenti recenti riguardanti l’economia del nostro territorio. Si è parlato tanto di inquinamento e risanamento ambientale, di promesse dell’Eni di intervenire per sanare l’ambiente, di pronunciamenti della Regione sullo stesso tema e sugli impegni da questa assunti in fatto di finanziamenti per la riqualificazione ambientale. In tutto questo dibattito si è inserito anche il sindacato che pur avendo preso atto di tante promesse, ha voluto vederci chiaro e per tal motivo si è recato a Roma per discutere con l’Eni e per far sapere che non ha mai accettato regali e che pretende dal colosso chimico molto di più di una fontanella.
Ci sono stati cinquant’anni di sfruttamento intensivo del territorio che si è tradotto in un degrado ambientale, che ha provocato guasti di grande entità sul piano della salute tanto che Gela annovera un tasso di mortalità doppia rispetto al resto del Paese in fatto di malati di cancro e nascite con malformazioni. Purtroppo anche se il petrolchimico ha rispettato i parametri di legge in materia di inquinamento, la situazione non è comunque allegra. Ma la politica che ha fatto? Se ne è stata a guardare? Certo non è schiva da colpe se siamo arrivati al punto di avere l’appellativo di area ad alto rischio ambientale. Probabilmente la politica ha le sue colpe ma anche il sindacato non ne è schivo se nel passato pur di mantenere gli assetti occupazionali ha lasciato correre in tema di inquinamento ambientale. Adesso che siamo quasi al punto di non ritorno si ricoprono tutti ecologisti o paladini della salubrità dell’ambiente. Sindacato, associazioni ambientaliste, politica. Meglio tardi che mai, dice un detto. Nessuna polemica per l’amor di Dio. Dobbiamo dire che mai come in questi ultimi due anni il sindacato dei chimici si è mosso molto bene pretendendo dall’Eni più investimenti per le nuove tecnologie, per la sicurezza nella fabbrica, per il risanamento del territorio devastato da tanti anni di inquinamento e per le bonifiche. Per avere un quadro molto più chiaro e per sapere come il sindacato sta lavorando per il benessere della nostra città in concerto con la politica abbiamo posto una serie di domande a Silvio Ruggeri (nella foto, a sinistra)segretario provinciale della Uilcem-Uil, ad Alessandro Piva (nella foto, al centro) segretario provinciale della Filcem-Cgil ed a Salvatore Licata ( nella foto, a destra) segretario provinciale della Femca-Cisl.
– Qualche giorno addietro siete stati in missione a Roma incontrandovi con i massimi rappresentanti dell’Eni per parlare di ambiente, finanziamenti per il risanamento ambientale ed assetti occupazionali. Con quali risultati siete tornati?
Silvio Ruggeri: “Siamo stati a Roma per dare continuità a quello che potrebbe essere un probabile accordo che si può determinare su Gela. E’ bene che si sappia che c’è una tendenza al disimpegno della chimica sia a livello nazionale che per ciò che riguarda Gela (kraking e politeni che producono plastica). Qui si vuole chiudere l’impianto etilene che comporterebbe una serie di problematiche non ultime di natura occupazionale. Noi a questa strategia dell’Eni abbiamo detto no. Noi vogliamo che si rilanci questo sito per un lungo tempo”.
– Dismettere l’etilene potrebbe significare una serie di conseguenze a catena, come la chiusura di altri impianti ed al tempo stesso di altri settori dell’economia che ruota attorno al petrolchimico?
Alessandro Piva:“Concordo con lei. La chiusura dell’etilene si ripercuote su tutto l’asse produttivo. In questi anni, come categorie abbiamo scelto di confrontarci con l’Eni partendo dal presupposto che la presenza industriale in un territorio non può avvenire se non c’è il rispetto del territorio stesso. Negli anni passati questo rispetto l’Eni non l’aveva avuto e ora abbiamo impostato in maniera diversa le relazioni. Da un lato una necessità di interventi che portassero ad un minor danno ambientale, dall’altra parte quella che fosse una apertura di dialogo con le istituzioni territoriali. In questa direzione tanti investimenti sono stati realizzati. Bisogna passa da reinvestimenti cospicui che servono a tamponare le emergenze a investimenti che migliorano in progressione la presenza con il territorio dello stabilimento. Le trattative in corso in questa direzione vanno. Noi non ci siamo fatti incantare dal fatto che l’Eni ha annunciato di volere spendere a Gela circa duecento milioni. Certo sono una cifra notevole. Vanno nella direzione delle richieste che il territorio ed il sindacato hanno fatto e cioè rinnovare gli impianti per stabilizzare anche gli aspetti produttivi, di ridurre le emissioni che vengono emessi in atmosfera, di dare maggiore sicurezza. Sappiamo per certo che innovazione tecnologica porta riduzione occupazionale. Se a questo assommiamo la volontà dell’Eni di ridurre la presenza nella chimica, il rischio vero è che, sì consolidiamo questa fabbrica riducendo le emissioni, ma alla fine questo territorio possa avere un calo occupazionale che noi non siamo disponibili a fare avvenire. E allora noi dobbiamo sfidare la politica, il governo regionale, il governo nazionale a far sì che la presenza dell’Eni venga qualificata sotto l’aspetto produttivo come ricchezza ma anche come possibilità di dare occupazione vera e non occupazione assistita.
Se non provvediamo da adesso a come qualificare l’impresa locale, facendo sì che non abbia solo la parte di montaggio delle apparecchiature, ma anche di prefabbricazione. Il rischio è che alla fine di un percorso che va portato avanti e consolidato di grossi investimenti, si possa trovare alla fine con un calo occupazionale nel diretto e nell’indotto. Noi dobbiamo invece rafforzare il lavoro nel diretto e nell’indotto”.
– Le aspettative del sindacato sono buone?
Salvatore Licata: “Noi non abbiamo mai chiesto regali all’Eni, alla Raffineria, a Polimeri Europa. Abbiamo sempre chiesto di onorare gli impegni sottoscritti, di dare lavoro che abbia soprattutto una sua ecosostenibilità. Gela è stata per il gruppo Eni per un cinquantennio fonte di reddito e un fiore all’occhiello, oggi per riposizionarsi nel panorama industriale italiano con argomentazioni tutte da dimostrare dice che intende tagliare l’etilene. Questo comporterebbe nello scenario siciliano azioni a catena che sono tutte da andare ad analizzare prima di essere da noi sancite e condivise. Se questo deve avvenire, deve avvenire con una compensazione in termini occupazionali che salvaguardi da un lato, e lo dico con una metafora, la capra dell’azienda ma non può non tenere conto dei cavoli del sindacato e dei lavoratori. Per far questo noi vogliamo poter continuare a lavorare nel nostro sito industriale tenendo presente che nessuno dei lavoratori deve pagare con un pezzo della propria salute il salario che percepisce a fine mese. In questo siamo stati precisi nei confronti del management dell’Eni che pare avere finalmente inteso. Ieri (martedì 6 febbraio n.d.r.) abbiamo sospeso le trattative per una necessità di maggior approfondimento, ma una consapevolezza condivisa sia in categoria che nelle confederazioni, non è possibile che disegni strategici che vadano nella direzione di un puro ridimensionamento della realtà industriale siciliana, non sarà assolutamente concessa”.
– Alessandro Piva parlava di innovazioni tecnologiche in concomitanza delle quali si determina un pauroso calo dell’occupazione. Questo è vero, ma non si può fermare il progresso e comunque il trend in negativo è un processo storico e ciclico ma di breve durata. Poiché subito dopo si creano altre esigenze di investimento, altre occasioni di lavoro e di massimizzazione dei fattori produttivi che si modificano e creano a loro volta un effetto moltiplicatore di produzioni e quindi manodopera. Vogliamo approfondire questo concetto? Volevo infine che uno di voi rispondesse alla mia domanda: cosa chiedete alla politica?
Alessandro Piva: “Si è vero. Si creano nuove possibilità occupazionali, ma bisogna vedere dove. Non a Gela. Se l’innovazione tecnologica proviene dalla raffineria di Gela, tutto ciò che serve per rinnovare non viene costruito a Gela e allora tutte quelle parti delle sale controllo computerizzate non vengono costruite a Gela e quindi la possibilità di creare occupazione interessa altre realtà del nord o americane, non sicuramente la realtà di Gela. Rispondo alla seconda parte della sua domanda. Gela non può pensare a vivere avendo al centro delle sue attività il petrolchimico. Gela è il sesto paese per abitanti della Sicilia. Deve diversificare le sue attività produttive come tutte le grandi città. Uno sviluppo che permetta turismo reale e lì c’è tanto da lavorare. Un recupero urbanistico che permette lavoro agli edili. La politica deve avere una capacità di governo e di prospettiva che nel passato non ha avuto. Ha vissuto pensando di potere avere dallo stabilimento in maniera indefinita. Poco fa veniva citata la fontana che l’Eni ha regalato alla città. Sicuramente poca cosa, ma è una di quelle cose che per la prima volta chi entra a Gela dal lato di Catania, così come chi entra dal lato di Agrigento, ha una visione diversa di questa città. E’ la politica che deve dare risposte”.
Salvatore Licata: “Le Istituzioni locali devono realizzare un sistema, chiamando all’interno di questo sistema i sindacati, le parti sociali, ognuno per parte sua può metterci del proprio per contribuire ad uscire fuori da questo stato di impasse. C’è la necessità di fondi. Con le nuove normative c’è la necessità di fare dei programmi comuni unitamente alla regione siciliana. In tale contesto potranno essere richiesti fondi per realizzare assi viari, aeroporti, infrastrutture ecc. Al 31 dicembre del 2006 nella dirimpettaia Tunisia erano presenti 800 imprese, cento delle quali erano siciliane e se erano lì trovano appetibilità e convenienza. Abbiamo noi gelesi, siciliani la capacità di far diventare il nostro comprensorio appetibile, richiamando investimenti siciliani, italiani e dall’estero creando occupazione a trecentosessanta gradi? Se sì, questo passa da precise risposte. Io debbo potere atterrare a Catania, Palermo a Comiso e raggiungere Gela in un segno di croce. Non devo salutarmi con la famiglia non sapendo quando arrivo. Debbo mettere in condizione l’investitore di avere le autorizzazioni che cerca nel breve volgere di qualche settimana e non di tre – quattro anni. Ci sono realtà che non sono riuscite a partire nella realtà industriale di Gela nonostante avessero fatto la loro programmazione cinque-sei anni fa. Non esiste da nessuna altra parte del mondo. Il nostro sogno di sviluppo prossimo futuro non deve essere solo il comparto industriale ma va perseguito a trecentosessanta gradi”.
Autore : Nello Lombardo
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