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Corriere di Gela | La fatica di Atlante
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notizia del 27/05/2012 messa in rete alle 20:16:19
La fatica di Atlante

Il 19 maggio hanno sfilato i lavoratori della chimica, dell’energia, i metalmeccanici dell’indotto, le lavoratrici del tessile di Riesi, anno sfilato le insegne municipali dei comuni del comprensorio, persino il sindacato dei pensionati e rappresentanze della chiesa locale. Tutti coloro che ancora sostengono l’economia residua di questa zona della Sicilia. Economia residua purtroppo, perché la crisi dell’Europa, soprattutto al sud, miete ogni giorno aziende e lavoratori. La fatica che il titano Atlante esprimeva nel reggere sulle spalle il globo terrestre è la stessa fatica che oggi il lavoro produttivo fa nel sostenere le collettività.

Quelle bandiere e quei fischi, ritmati dal rullo dei tamburi, ricordavano che la finanza non ha ancora ucciso il lavoro produttivo, quello che non crea scommesse virtuali sul futuro, ma beni e servizi al presente, tangibili e fruibili. Questo lavoro, al presente e tangibile, è stato rivendicato, lavoro che non è solo sostentamento ma dignità e riscatto, ruolo sociale e crescita civile, tasse per lo stato e intrapresa per i capitali. Questa parte di Sicilia, manifestando, ci ha ricordato tutto ciò. Ed oggi ha molto senso ribadirlo.

La manifestazione ha sfilato per il corso principale seguendo canoni noti, ma in realtà l’essenza della manifestazione stessa era profondamente nuova, portava cioè, in sé, i nuovi germi che la globalizzazione dei mercati ha inoculato nelle popolazioni continentali di oggi.

E già, siamo abituati a vedere le manifestazioni come occasioni di lotta e la lotta è diventato un retaggio di chi rischia di perdere qualcosa di importante. Ma la lotta richiede una controparte ben identificata verso cui esprimerla e praticarla. Oggi la controparte si è dileguata, ne sanno qualcosa i manifestanti che hanno scelto Wall Street o la Bce di Francoforte per protestare, emblemi rappresentativi ma evanescenti di un mondo finanziario e bancario che sta affossando il valore del lavoro e dei beni correlati. La lotta ha perso perciò il suo senso, non è più una relazione antagonista tra due entità.

Per questo le manifestazioni per il lavoro stanno acquisendo un altro senso, un senso che tiene conto di tale mutata relazione. Non più il senso di una lotta (verso chi?) ma un segno di deterrenza. La deterrenza non ha bisogno di controparti definite, è un messaggio broadcast (da uno a molti), è però un segnale di avvertimento per tutti coloro che hanno responsabilità collettive, pubbliche o private. E’ il segnale che con la sussistenza non si può scherzare, con il lavoro che sostiene i nuclei familiari, che prepara le giovani generazioni a nuove responsabilità e che alimenta i servizi di uno stato civile, questo lavoro non si può far finta di ignorarlo. Pena lo scatenamento di una instabilità sociale che sconquassa tutto, anche chi si sente ben protetto da tutele e stabilità economica. Questo segnale di deterrenza oggi si sostituisce al glorioso significato di lotta. Non è poco, perché è un campanello di allarme su cosa può accadere se si sottovalutano tali istanze.

Le aziende private o le società di capitali chiudono le loro equazioni con variabili tutte interne alle aziende, le più sensibili con variabili di perimetro, ma le equazioni sociali non si risolvono solo con queste variabili, ne richiedo di altre, molte stanno oltre i confini delle aziende ma i loro effetti vi ritornano prepotentemente.

Questo è il nuovo segno di questa manifestazione: ricordare ai portatori di responsabilità che le equazioni sul lavoro non sono dominio di qualcuno, sono patrimonio di tutti e la loro risoluzione non nasce da un processo di ricerca della verità, che nessuno ha, ma da un processo di consapevolezza ed umiltà che oggi impone a tutti di partecipare nell’ambito del proprio ruolo con un forte riconoscimento del ruolo altrui.


Autore : Sebastiano Abbenante

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