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notizia del 17/06/2012 messa in rete alle 20:15:43
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Tra cinema e psichiatria
Per meglio comprendere alcuni aspetti della personalità ossessiva, presento una breve recensione ad un film cult degli anni 80, sull’erotismo raffinato, Nove settimane e mezzo.
“Ti amo”, dice John alla fine del film, da solo a porte chiuse, dopo che Elisabeth si è allontanata per sempre, e poi conta sino a 50, aspettando una lei che non ritornerà mai. Film inquietante, sembra finto dall’inizio alla fine e si umanizza solo con le parole “ti amo”, dette in solitudine da John come fra sé e sé. Girato nel 1985, con la regia di Adrian Lyne, e ricordato dal grande pubblico grazie allo spogliarello con la base musicale di Joe Cocker "You can leave your hat on”, presenta un personaggio maschile, Jhon, interpretato da un Mickey Rourke finto, per niente simpatico, ed una Elizabeth, Kim Basinger, che sembra una barbie, bellezza algida e nordica, bambolina di plastica senza anima. Non suscita emozioni rassicuranti, ma una costante sensazione di freddezza, e già alle prime videate, il sorriso di John stereotipato e allusivo che si protrae per tutto il film.
Il film presenta un perverso ossessivo che gode a provocare sofferenza psichica, reificando costantemente la sua partner, che deve lasciarsi imboccare, spogliare, lavare, vestire, passiva e totalmente sottomessa, senza volontà, per consentire a lui l’unica possibilità di essere maschio e potente, trovando solo in tutte queste sottomissioni la capacità di reagire alla sua impotenza sessuale, ad una paura smisurata per la donna e per la femmina. E quando lei sembra accennare ad una qualche forma di ribellione lui diventa violento ed impugna la cintura per percuoterla e costringerla ancora ad una sottomissione annullante e reificante.
Film sado-maso dove lui è troppo sadico e lei troppo poco masochista, per riuscire a reggere la ferocia sottile e raffinata di lui, dove i due, incontrandosi suggellano il loro patto di sangue e di discesa agli inferi.
Film cult sull’erotismo raffinato, in Italia riscosse un notevole successo di pubblico come anche in Brasile, ma fu stroncato dalla critica internazionale.
Nove settimane e mezzo è un film sulla glacialità e sulla estrema fragilità di un maschio psichicamente impotente, costretto a trasformare e ricostruire una donna in una bambola, film freddo, dove spiccano i bianchi ed i neri, le camicie bianche di lui, ed i suoi pantaloni neri assolutamente perfetti, in riga, ordinati nei cassetti. Sembra un lungo spot pubblicitario, per una nota casa di profumi, ma il ghiaccio domina anche nei giochi erotici culinari, il cubetto di ghiaccio, e la sua impossibilità ad un rapporto emozionante e vero, verso cui il protagonista tende in un disperato tentativo di esistere. E quando finalmente racconta del padre che lavorava nella fonderia e della madre impiegata in un negozio di alimentari, nonchè dei 5 fratelli, “è tardi” lei dice, e lui ritorna nel suo mondo freddo, nel suo carcere a vita, dove per contenere l’emozione e l’angoscia della solitudine deve contare da 1 a 50.
Autore : Francesco Lauria - medico chirurgo,specialista in Psichiatria
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