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notizia del 18/09/2009 messa in rete alle 20:06:50
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Criminalità organizzata verso il ricambio generazionale?
All'inizio degli anni anni Ottanta le strade di Gela erano solcate da gruppi di giovani, in gran parte privi di una qualsiasi forma di istruzione, intenti a disporne, non solo nel corso delle ore notturne ma anche di quelle diurne, al fine di realizzare i rispettivi progetti, non di vita bensì delittuosi: si trattava di giovani disoccupati fortemente intenzionati a raggiungere il loro personale “desiderio”, quello di farsi un nome all'interno dei gruppi criminali già attivi nella città dell'Eni.
Si parlava spesso di Rosario Trubia (per tutti “Saro” o “Nino D'Angelo”), dei fratelli Emmanuello e Celona, di Emanuele Argenti, tutti componenti di nuclei familiari dai lunghi trascorsi penali.
A queste figure, in quella fase storica in grado di realizzare il “grande balzo” dai reati minori, utili ad accreditarsi, a quelli destinati a rafforzare i gruppi malavitosi di appartenenza, si accostarono svariati giovani, spesso minorenni, in cerca di un fantomatico successo, trasformatosi, però, agli occhi dei normali cittadini, in sangue sparso per il selciato delle vie gelesi, in corpi umani travolti dal turbine delle armi da fuoco, in incendi e violenza gratuita.
La famigerata strage della sala giochi del 27 novembre 1990 non destò solo un ampio scalpore nazionale, ma costituì un metaforico bivio nelle strategie dei due clan rivali, quello facente capo a Cosa Nostra e quello formato dagli “Stiddari”, forse per la prima volta disposti a riflettere sulle conseguenze devastanti generate dalle rispettive volontà di conquista.
Quello era il tempo di veri e propri adolescenti del crimine, come Marco Simon Iannì, figlio di uno dei capi della stidda gelese, ed Emanuela Azzarelli, una delle poche ragazze capace di imporsi in una dimensione tipicamente maschile, estranei alla normale realtà dei propri coetanei, poiché portatori di verità terribili, contornate di omicidi e continue imposizioni di un'autorità non confacente a giovani appena affacciatisi alla vita.
Dalla seconda metà degli anni ‘90, con la sola parentesi del breve conflitto interno a cosa nostra esploso tra il gruppo di Daniele Emmanuello e quello di Emanuele Trubia di poco anteriore all'avvio del nuovo secolo, gli organigrammi malavitosi hanno subito una sorta di stasi, in mancanza di decise scalate al loro vertice.
L'estate del 2009, invece, ha riservato molte novità, da taluni ritenute quasi scontate, soprattutto in considerazione del numero di catture e pesanti condanne penali patite da molti affiliati: sembrerebbe, infatti, che la mafia locale stia attraversando un periodo di incisiva riorganizzazione, alla stregua di un qualsiasi rettile che si accinga alla periodica muta.
I nomi storici di Stidda e Cosa Nostra, privati della loro libertà, oramai con difficoltà continuano a promuovere i personali obiettivi di controllo e gestione del territorio gelese; al di fuori delle strutture carcerarie che li ospitano, però, non sono pochi gli aspiranti a quelli che furono i loro inscalfibili troni.
Attentati incendiari, uso di armi da fuoco, intimidazioni verbali ai danni dei coetanei: questi ed altri strumenti dovrebbero permettere l'innesto di una nuova “classe criminale”, composta in prevalenza da soggetti, appena maggiorenni o comunque in un'età di poco superiore, pronti ad affrontare il pericolo della detenzione pur di sostituirsi a uomini, in talune ipotesi legati a questi da rapporti di parentela più o meno stretti.
Oggi, dunque, si inizia a fare la conoscenza di Calogero Greco, Rocco Faraci, Alessandro Pellegrino, Diego Rinella, Igland Bodinaku, nato in Albania ma stabilitosi a Gela da diversi anni, indicati, grazie a svariate operazioni condotte dalle forze dell'ordine, quali nuovi protagonisti degli ambienti criminali locali, non più contraddistinti dalla ferocia omicida bensì da una più subdola volontà di assoggettamento: qualora il gestore della discoteca si opponga alla richiesta di consumazioni gratuite, la risposta immediata non può che estrinsecarsi nell'incendio dell'autoveicolo di sua proprietà; in presenza di concorrenti nella gestione della piazza di spaccio non può esservi miglior sistema dissuasivo che quello di esplodere colpi di avvertimento in direzione delle abitazioni dei rivali oppure quello di costringerli ad allontanarvisi con la forza delle mani e delle lame.
Gli inquirenti sono praticamente certi: almeno tre degli arrestati di queste ultime settimane, in specie Rocco Faraci, Alessandro Pellegrino e Diego Rinella, non sarebbero incappati nei provvedimenti giudiziari emessi nei loro confronti casualmente, al contrario rappresenterebbero la longa manus del pizzo imposto dai gruppi criminali, oramai aperti a innesti di tal fatta.
“Arrestatemi pure, tanto in carcere mi tratteranno da uomo di rispetto”, parole pronunciate, prima del suo ingresso all'interno del penitenziario assegnatogli, da Alessandro Pellegrino: atteggiamento da tipico affiliato e soli diciannove anni: l'emblema della nuova stagione mafiosa in città.
Autore : Rosario Cauchi
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