notizia del 20/10/2013 messa in rete alle 19:43:10
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I disastri dell’amianto. Mega indagine in Procura, 38 indagati Eni
Sarà la solita indagine di cui non se ne saprà più nulla, senza colpevoli nè innocenti, senza carcerazioni nè mega-risarcimenti? O che magari via via, ad uno ad uno, ne usciranno tutti o quasi indenni, come sta accadendo, per fare un esempio, per l’Operazione Baracche (spaccio di droga), con quattordici arresti, per buona parte già annullati? Non dovrebbe andare a finire così la maxi-inchiesta della Procura contro i 38 presunti responsabili dello sterminio ambientale che sarebbe stato consumato allo dello stabilimento petrolchimico dell’Eni, all’interno del quale – lì, più che lungo le strade macchiate di sangue – dovrebbero essere poste croci a futura memoria.
Stavolta non c’entrano nè fumi nè sversamenti velenosi a mare. C’entra lo scriteriato utilizzo di amianto che nel tempo – senza controlli nè bonifiche mirate – potrebbe aver procurato danni alle persone.
Nella nota della Procura che pubblichiamo in altra parte del giornale, si legge testualmente: «L’ipotesi accusatoria è quella di aver causato a diversi lavoratori lesioni personali gravi e, in due casi, anche la morte, a seguito dell’esposizione a materiali contenenti amianto».
E la politica? Tace! Nessun comunicato di elogio per il lavoro svolto sin qui dai due sostituti Cannatà e Calanducci, coordinati dal Procuratore Lotti. Il silenzio – e non ci riferiamo ai politici di oggi – non sempre è cautela.
Amministratori delegati, direttori, responsabili del servizio prevenzione e protezione e responsabili amianto di diverse società facenti capo al gruppo Eni: 38 indagati per danni causati dall’esposizione all’ amianto.
– La Procura della Repubblica di Gela ha concluso indagini complesse, dottoressa Lucia Lotti. Ma è finita qui?
«No, affatto. Abbiamo ricevuto molte altre denunce, è stato un disastro…»
– È un fenomeno che riguarda l’area petrolchimica di Gela?
«No, riguarda tutti i siti industriali in cui è stato utilizzato l’amianto. E’ terribile».
– Le malattie da amianto sono aumentate?
«No, l’amianto è stato dismesso. Ma le malattie da amianto hanno un periodo di latenza molto lungo. Si sviluppano dopo venti e più anni. Il numero dei casi denunciati cresce, ma è un effetto della vecchia esposizione all’amianto».
– Le patologie di Gela sono omologabili a quelle di altri siti?
«Sì, ma Gela ha una sua peculiarità. Non siamo a Casale Monferrato, dove le malattie si sono sviluppate in un solo sito ed è stato possibile, abbastanza agevolmente, individuare le responsabilità. Nell’area petrolchimica di Gela si sono avvicendate molte aziende. L’Eni, per esempio, ha cambiato più volte ragione sociale, direttori, amministratori. Poi c’è l’indotto con decine di aziende all’interno dello stabilimento petrolchimico. I lavoratori, infine, hanno prestato la loro opera nel corso della loro vita professionale alle dipendenze di quattro o cinque imprese».
– La rilevanza del numero dei casi è indubbia.
«Certo, ma credo che sia dentro il trend. Naturalmente Gela è una città industriale, il numero dei casi è alto per questa ragione».
– L’inchiesta della Procura di Gela, dunque, è stata particolarmente onerosa.
«Abbiamo dovuto ricostruire la storia professionale dei lavoratori che si sono ammalati, e continuiamo a farlo ogni volta che ci perviene una nuova denuncia. Un lavoro molto complicato, la responsabilità penale è personale, bisogna individuarla di volta in volta.
Bisogna cercare il soggetto cui è affidata la salute dei lavoratori. C’è un contenzioso piuttosto corposo anche nel civile: moltissime cause. Il problema è molto serio, si toccano con mano ora gli effetti di questo disastro».
– L’ambiente e la salute non sono stati in cima ai pensieri delle istituzioni e dell’industria.
«Non c’è stata ad ogni livello la sensibilità necessaria di guardare al futuro. E’ mancata la cultura della salvaguardia dell’ambiente, ma anche della responsabilità verso le generazioni future. I disastrosi effetti dell’amianto, a distanza di venti e più anni, ne fanno un caso emblematico».
– Quale accuse avete mosso agli indagati?
«L’ipotesi accusatoria e quella di aver causato a diversi lavoratori lesioni personali gravi e, in due casi, anche la morte, a seguito dell’esposizione a materiali contenenti amianto. Le indagini sono scaturite da numerose denunce presentate da lavoratori che avevano prestato la loro attività all’interno dello stabilimento, nonché dai referti inviati dall’Inail nei casi di riscontro di malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto. E’ stato necessario ricostruire poi gli specifici profili di colpa per ciascuno degli indagati, in vario modo titolari di posizioni di garanzia, come tali tenuti all’osservanza delle norme sulla tutela della salute nei luoghi di lavoro e all’adozione di metodi gestionali basati sulla precauzione e sulla prevenzione. In presenza di riscontri di reiterate e perduranti omissioni in materia di tutela della salute dei lavoratori e considerate le posizioni e gli obblighi facenti capo a ciascuna delle persone identificate, sono 38 i destinatari dell’avviso di conclusione indagini per i casi sino ad oggi ricostruiti».
– Dottoressa Lucia Lotti, la Procura è attrezzata per gestire questo tipo di reati?
«Facciamo del nostro meglio, dobbiamo gestire una quantità ingente di dati che impone il ricorso a rigorosi metodi nella raccolta delle notizie di reato, nell’esame, nella ricostruzione dei fatti e nella individuazione dei possibili profili di responsabilità. A tal fine si è reso necessario creare apposite procedure, in modo da ricostruire puntualmente le vicende dei singoli lavoratori che si sono ammalati di asbestosi e di quelli che sono deceduti dopo aver contratto il mesotelioma pleurico, patologia tumorale inequivocabilmente correlata all’esposizione ad amianto».
(per gentile concessione di www.siciliainformazioni.com)
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