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Corriere di Gela | Io, musicista frustrato dall’incapacità di imitare il maestro
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notizia del 24/03/2013 messa in rete alle 19:17:07
Io, musicista frustrato dall’incapacità di imitare il maestro

La mia conoscenza dei Mammano, modello di unità familiare e solidarietà umana, risale al 1965. Frequentavo la 3ª media alla Mattei, ancora in via Minardi. In classe diversa c’era anche Rocco Mammano, poco più che tredicenne. Il nostro insegnante di applicazioni tecniche, tale prof. Miccichè, ci diede la possibilità di partecipare al saggio di fine anno da protagonisti, a condizione di presentare qualcosa di originale, aggregando elementi di classi diverse. Quale occasione migliore per me, gettarmi nell’impresa titanica di costruire nel laboratorio della scuola una chitarra e con questa salire sul palco ed esibirmi davanti all’intero corpo docente e studentesco? Ma come fare, tutto da solo? Seppi che in un’altra sezione di terza c’era un piccoletto, come me di nome Rocco, che studiava il pianoforte da un’anziana maestra, di cui ricordo ancora il nome (si chiamava Margherita Vullo). Sono più grande di Rocco, presi l’iniziativa e lo coinvolsi. Mi servivano nozioni musicali e un aiuto concreto per costruire lo strumento. Rocco, affascinato forse dalla mia passione e determinatezza, disse di sì.

Comprammo legni, corde e chiavette, mi insegnò i primi rudimentali accordi, io alla chiatarra, lui ad una pianola e salimmo sul palco. E giusto per essere totalmente originali (come voleva il nostro insegnante), eseguimmo un brano (Perdonami amor) composto da un nostro amico comune, Franco Marino, trasferitosi poi a Roma.

Quell’episodio segnò l’inizio di un lungo rapporto con i Mammano. Conobbi i genitori di Rocco, il fratello Biagio, che già suonava la batteria, e la sorella Maria Rita (anche lei alle prime armi con gli studi di pianoforte), e via via i due ultimi nati, Daniele e Carmelita. Abitavano, per modo di dire, in via Formia. In effetti la loro casa era disabitata, visto che ‘u ziu Totò e ‘a zia Adele, stavano tutto il giorno nella loro sartoria di via Navarra. Diventai inseparabile e tutti i pomeriggi lo raggiungevo in quella casa pulita e ordinata quanto deserta. Rocco, che a quel tempo non arrivava neanche ai pedali, si metteva al pianoforte ed io strabiliato dalla sua bravura mi godevo (era d’obbligo) quel Per Elisa di Beethoven.

Con Rocco frequentammo insieme anche il 4° ginnasio al Pignatelli. Ho sempre cercato di imparare a suonare il piano (a casa mia ne sono entrati tre, tutti a coda), stimolato dalla bravura di Rocco e dallo spirito di emulazione. Niente da fare. Mi sono dovuto accontentare d’imbracciare una chitarra ritmica con un gruppo pop nella seconda metà degli anni Sessanta e solo grazie alle frequentazioni – in parte interessate – con Rocco, chiudere la mia quinquennale esperienza musicale pigiando i tasti di una pianola.

Ricordo a quei tempi di aver suonato in un veglione di capodanno ad Acate con un gruppo formato dal papà Totò. Mi sentivo importante, poco più che sedicenne, suonare con persone adulte e che con la musica ci sapevano fare.

Mi è rimasta la grande passione per la musica, ma anche la frustrazione per non aver saputo imparare a suonare come avrei voluto il pianoforte, nonostante sia vissuto per tanto tempo a fianco di un maestro come Rocco. Frustrazione che ingenerosamente mi ha portato qualche volta a scaricare su Rocco Mammano – sia pure in tono scherzoso e per stimolazione (“Hai fallito, non hai saputo insegnarmi a suonare il piano, vergognati!”) – la responsabilità, tutta mia, di non essere io riuscito in quello che ormai è destinato a rimanere, purtroppo, il sogno infranto della mia vita.


Autore : Rocco Cerro

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