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notizia del 27/09/2009 messa in rete alle 19:14:33
Nuovi fermenti in fabbrica
“Noi non possiamo che essere solidali con i lavoratori dell'ex Cedis che oggi sono incatenati davanti ai tornelli d'ingresso”, parole chiare, impossibili da fraintendere, quelle di un dipendente di una delle tante aziende dell'indotto dello stabilimento petrolchimico di Gela, rimasto al di fuori dei cancelli che delimitano la quotidiana zona di lavoro in questo lunedì di fine estate: allo scopo di supportare, almeno moralmente, la protesta di tre edili forzatamente espulsi, insieme ad altri compagni di lavoro, dai ranghi della società guidata da Vincenzo Romano.
La vicenda giudiziaria dei proprietari di questa compagine economica operante nel settore dell'edilizia è ben nota, così come da mesi si conosce la principale conseguenza prodotta dal necessario intervento della magistratura: la trasformazione delle condizioni individuali di circa quaranta ex occupati, all'improvviso arruolati nelle ampie fila dei senza prospettive.
L'indomita capacità di attrarre l'attenzione pubblica, però, li aveva condotti verso una, seppur parziale, risoluzione dell'incombente fardello: nei primi giorni di Luglio, anche grazie all'azione concertativa svolta dalle locali organizzazioni sindacali, gli “espulsi” dalla catena produttiva ritornarono a sentirsi veramente attori dei propri destini.
Tre note aziende dell'indotto, la Turco Costruzioni srl, la Corima spa e la società cooperativa Edil Ponti, infatti, decisero di assorbire tutti i dipendenti già inseriti nell'organigramma della Cedis s.r.l., allo scopo, evidente, di evitare ulteriori emorragie occupazionali.
Ma quattro di loro, ovvero gli autori della protesta di lunedì, Salvatore Pirillo, Rosario D'Angeli, Stefano Cafà e Giovanni Scicolone, assente però durante i concitati momenti del blocco forzato, non hanno, fino ad oggi, ottenuto le necessarie autorizzazioni per poter varcare quella stessa soglia da loro presidiata: permanendo così in una condizione di eterea sospensione, in quanto rientranti negli accordi stipulati tra parti sociali e datoriali, ma in ogni caso impossibilitati ad accedere al sito di produzione.
Innanzi a scarsa chiarezza, paura di uscire definitivamente dalle prospettive delle entità economiche interessate, e soprattutto ad una quotidianità sempre più difficile da sostenere in assenza di un qualsiasi supporto economico, i tre operai edili hanno deciso di intraprendere la più tortuosa delle opzioni: rendere collettivi, almeno per un giorno, tutti i loro personali dubbi.
Le rappresentanze sindacali intervenute sul posto, fra le quali la Fillea-Cgil, rappresentata da Francesco Cosca, la Feneal-Uil, con Diego Strazzanti e la Cisl nella persona del segretario provinciale, Franco Iudici, hanno individuato la causa scatenate dei timori espressi dagli autori della protesta nella superficialità dimostrata, in questo caso, dalla parte datoriale, ovvero la società cooperativa Edil Ponti guidata da Giovanni Salsetta, alla quale spettava, stando all'accordo raggiunto in luglio, assorbire tali dipendenti.
I responsabili della stessa, infatti, avrebbero del tutto omesso di inoltrare alla Raffineria di Gela spa l'istanza indispensabile al fine di confermare l'inserimento dei nominativi di questi lavoratori nella rait (il fondamentale tesserino a disposizione di ogni maestranza abilitata ad oltrepassare i tornelli d'ingresso allo stabilimento petrolchimico).
Mentre tra gli scranni del Consiglio comunale si avviava la seduta volta all'approvazione del bilancio comunale, i tre operai edili, dopo aver attentamente consultato gli esponenti sindacali, decidevano di abbandonare una ribalta alla quale non erano avvezzi, nella speranza di non doverla più riabbracciare, sotto lo sguardo quasi di sostegno dei componenti di una pattuglia della Polizia di Stato, chiamati a tutelare un ordine pubblico di certo non messo a repentaglio da chi intendeva richiedere solo ciò che gli spettava di diritto.
Ai tre fautori della pacifica protesta si sono affiancati anche due ex dipendenti della società cooperativa Cispe, attualmente in cerca di una collocazione.
I cinque operai, tra edili e metalmeccanici, possono ritenersi veri prototipi del decadimento occupazionale attualmente predominante all'interno del territorio gelese, ove difficilmente entità economiche ad elevata redditività riescono a svilupparsi, generando conseguenzialmente effetti negativi anche fra i possibili prestatori d'opera.
Lo stesso accordo concluso in luglio fra sindacati ed imprese rivolto alla garanzia dell'assorbimento dei lavoratori fuoriusciti dall'esperienza della Cedis, dimostra già oggi segni di fragilità diffusa; gli edili acquisiti dalle tre nuove datrici di lavoro, infatti, si trovano ad operare entro strutture produttive afflitte da rilevanti difficoltà.
La Turco Costruzioni srl fin da aprile ha dovuto affrontare vere e proprie emergenze connesse alla stabilità economica, tanto da dover optare in tre occasioni per la cassa integrazione ordinaria, onde evitare 37 licenziamenti; la società cooperativa Edil Ponti, a sua volta, in avvio del periodo estivo ha inoltrato richiesta di cassa integrazione per almeno 40 lavoratori; così come segni di cedimento non si sono fatti attendere neanche per la terza protagonista del salvataggio degli ex dipendenti Cedis, ovvero la Corima spa.
Sarebbe ancora possibile citare molteplici esempi di criticità produttive sussistenti nel circondario gelese, dall'Eurotec alla Ma.Prefabricati per giungere fino alla Cosila, senza trascurare la stessa Cedis, perlomeno nel periodo precedente al coinvolgimento giudiziario dei suoi titolari.
Ai pochi privilegiati ancora nella disponibilità di un posto di lavoro presso quello che avrebbe dovuto costituire per i gelesi, e per tutti gli abitanti dei territori limitrofi, il vero “eldorado della chimica”, capace di elargire prosperità economica e virtù sociali, non resta che dichiarare apertamente il loro appoggio ad azioni di conflitto sociale “perché domani incatenati davanti ai cancelli della fabbrica potremmo esserci noi”.
Autore : Rosario Cauchi
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