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Corriere di Gela | La cultura di raffineria e le legioni manipolari romane
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notizia del 27/04/2008 messa in rete alle 18:57:28
La cultura di raffineria e le legioni manipolari romane

La Raffineria di Gela equivale ad una città di circa 1.400 abitanti. Per le dimensioni umane e le interazioni relazionali che si innescano, vive di una “cultura”, non dico autonoma, ma fortemente caratterizzata. Con “cultura” si vuol intendere il patrimonio variamente complesso di interazioni, regole, rapporti, ammiccamenti, coesioni, supporti, antagonismi, prassi, individualità e concertazioni che, tra loro interagenti, creano una cultura aziendale ed una industriale, entrambe non necessariamente coincidenti. Per le varie sfaccettature che il tema presenta ci può venire in aiuto un paradigma, storicamente collocato, che, per la sua incidenza nella storia nostra e più in generale occidentale, può aiutarci ad identificare mentalmente il tema.
L’epica e l’arte militare hanno avuto una loro storia ricchissima di esempi e riscontri. La legione manipolare romana, collocabile nel III secolo a.C. costituisce un degno paragone per tentare una minima analisi del tema.
Nei secoli la civiltà micenea, incardinata nei sacri testi omerici, aveva sviluppato l’ardimento in battaglia partendo dalla virtù individuale, dal valore eroico del singolo “eroe” che si distingueva per abilità, coraggio e forza fisica nell’affrontare nemici ed eserciti. L’avvento della falange oplitica delle poleis greche innova l’eroismo in battaglia introducendo una nuova entità, terribilmente efficace nel combattimento, ma per la quale il combattente era un componente, diligentemente inquadrato insieme ai compagni ed ai comandanti affinché la falange muovesse in sincronia secondo le figure belliche apprese e collaudate.
Purtroppo anche questa temibile organizzazione in battaglia aveva rivelato nel tempo alcuni “talloni di Achille”: se la formazione della falange si rompeva, causava lo scompaginamento dell’intero schieramento. I Romani seppero superare queste limitazioni innovando ancor di più la tattica sul campo. L’avvento della legione manipolare romana era la soluzione ad una tattica di battaglia che non richiedesse necessariamente ampie pianure su cui schierare i combattenti, inoltre la “gestione” della dinamica della battaglia stessa con i suoi attacchi e arretramenti, alternati e spesso voluti, costituiva il perno della strategia, sul campo, delle legioni romane. La legione fu ulteriormente flessibilizzata in manipoli (III secolo a.c.) per consentire l’adattamento a questa dinamica, ma per far questo occorreva introdurre nuovi elementi all’apparenza eterei, intangibili ma fortemente definiti e per i quali occorreva allenamento e apprendimento: “la disciplina e le forme”. Certo, condizione necessaria per un buon esercito rimaneva la “virtus” ossia l’arte del combattimento individuale, professionalizzato attraverso allenamento ed esperienza. Ma la condizione sufficiente per l’efficacia in battaglia era costituita proprio dai due aspetti citati.
Nel libro di Machiavelli “Dell’Arte della guerra” vengono illustrate, con dovizia di legende esplicative, le forme che “un esercito debba in battaglia assumere per suo conto”. Machiavelli illustra gli schemi avvalendosi delle lettere dell’alfabeto opportunamente disposte e rappresentative delle varie categorie di armati. Ma quello che si nota, e che costituisce una novità, sono dei corridoi interni allo schieramento che avanza o che si trincera, ai cui vertici sono inseriti portatori di insegne o di segnali militari. La potenza di questi schieramenti sta proprio in questi corridoi. Le forme e le riconfigurazioni che l’esercito assume in battaglia sono funzione di questi spazi interni che consentono, a fronte di precedente addestramento, di assumere rapide e più funzionali riconfigurazioni, pilotati dai segnali dei comandanti.
Dicevamo delle “forme “, ecco l’elemento di micidiale efficacia, etereo ma analitico allo stesso tempo, che moltiplica il valore di ogni combattente in un meccanismo che si adatta al procedere degli eventi sul campo. Un paradosso: quanti più sono i corridoi all’interno dello schieramento tanto più c’è da attendersi un raffinato e variegato utilizzo delle “forme” in battaglia. “Disciplina” e “Forme” ecco il segreto! Eppure se volessimo valutare con i nostri occhi la potenza di uno schieramento saremmo più attratti dalla possanza dei guerrieri (basta pensare agli schieramenti dei giganti Celtici che gli stessi Romani combatterono e sbaragliarono). Forma e Disciplina, termini che oggi possono essere fraintesi, ma se opportunamente usati costituiscono la forza degli eserciti economici di oggi.
E qui riprendiamo il parallelo con la cultura aziendale ed industriale della nostra raffineria. Va subito detto che la cultura aziendale è una cultura di “appartenenza” ossia una cultura che sposa l’immagine che l’azienda esercita nel mercato e negli ambienti ove interviene, oltre che al proprio interno. L’azienda è un apparato che ha un obiettivo “semplicissimo” ma un modo di conseguirlo “complicatissimo”. L’obiettivo è di fare utili per l’azionista, naturalmente nel rispetto delle “regole”, (notare che l’intercalare esiste se esiste il primo assioma), la modalità con cui farlo è “gestire complessità” a volte la più sfaccettata, non solo tecnologica ma di impatto su infrastrutture, ambiente, dipendenti, clienti, istituzioni e così via. La cultura industriale può essere altra cosa, ha un’anima illuministica, è determinata e declinata da metodi , regole, best practice, esperienze strutturate e razionalizzate, procedure, è un bagaglio di strumenti spesso concettuali ma anche operativi che sono assimilabili alle “forme” cui la legione manipolare romana si ispirava e di cui Machiavelli teorizzava gli schemi. E’ una “forma” maledettamente efficace che permette di schierare l’impresa sul campo di battaglia: il mercato. Permette di gestirne il dinamismo al variare delle tendenze repentine e di dare scacco ai concorrenti giocando sul tempo e le risorse. Questa cultura fatta di metodi (“disciplina”) in mano alle migliori risorse umane (“virtus”) crea il presupposto dell’efficacia del business, della leadership, del ritorno verso l’azionista ed il territorio. Cosa è rilevante a questo punto per l’azienda? Che la virtus e la disciplina, ossia la cultura industriale, sia patrimonio “ripetibile” dell’azienda, ossia sia codificato per poter essere trasmesso a chi entrerà nell’esercito dei combattenti, alias nell’azienda.
Quando la cultura aziendale e industriale coincidono, si ha la massima efficacia, il senso di appartenenza si origina dai metodi industriali vissuti e professati in un cammino di crescita e di apprendimento, a volte invece le due culture divergono, a volte con velocità preoccupante e l’una cultura rimane orfana dell’altra, non avendo quella industriale la visibilità che necessita ed essendo quella aziendale, a sua volta, vuotata di senso perché alimentata solo dalle risorse che fagocita senza restituire riscontri. Quando accade questo, tutti gli indicatori, prima o poi, tendono verso il basso: la produttività, la sicurezza, l’innovazione, lo sviluppo delle carriere, la gratificazione dei dipendenti.
Vari sono i metodi per “leggere” lo stato di salute della cultura aziendale ed industriale e valutare la divaricazione tra le due. Uno è quello di valutare la “Qualità umana” (“virtus”) di non più di 4-5 posizioni organizzative di raffineria, posizioni non necessariamente di elevata collocazione nell’organigramma aziendale, ma assolutamente chiave per gli assetti della società, posizioni che richiedono la migliore qualità umana e professionale. Un altro è quello di valutare il numero di processi strutturati e codificati che la fabbrica utilizza: il loro trattamento, la loro manutenzione ed evoluzione. Non intendo i processi “certificati”, certamente importanti, ma quelli di gestione ordinaria. Sono i famosi “corridoi” che consentono l’espressione delle forme in battaglia. Un altro ancora è valutare quanto i “generali” anticipano con il comportamento le regole interne essendo “l’esempio” il primo indicatore di una leadership reale. Il famoso “segnale” per cambiare “forma” in battaglia.
Altri ne esistono ma è meglio fermarsi.
La nostra raffineria, con la sua storia e le sue generazioni di tecnici, manager e maestranze, ha prodotto culture industriali e aziendali variamente convergenti o divergenti nei vari periodi storici, ed il giudizio è bene affidarlo ad ognuno. E’ sempre stata però, per la sua complessità e per i sui impatti, un generatore di stili di gestione, a volte innovativi a volte meno, mai casuali e sempre leggibili da chi non dimentica i grandi paradigmi che il passato ci propone.


Autore : Sebastiano Abbenante

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