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Corriere di Gela | Chiediamolo a Zì Calina!
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notizia del 05/07/2009 messa in rete alle 18:24:09
Chiediamolo a Zì Calina!

“Zì Calina, è possibile risolvere la questione di mio fratello?”: questa la premessa di una discussione, intercettata dagli inquirenti, da assommare ad altri innumerevoli colloqui, telefonici ed epistolari, utilizzati per estrarre dall'inabissamento, scelto negli ultimi anni, alcuni componenti del clan Emmanuelo di Gela, apice di cosa nostra locale.
L'identità di Zì Calina è presto svelata, trattandosi di Calogera Pia Messina, madre dell'ex guida del gruppo criminale, Daniele Emmanuelo, ucciso nel corso di un conflitto a fuoco intercorso con le forze dell'ordine nel Dicembre di due anni fa; era la donna, infatti, ad incarnare lo spirito lideristico, già consono al figlio, necessario al fine di perpetuare il controllo, economico e criminale, sul territorio di propria spettanza.
L'operazione “Cerberus”, condotta dalla Squadra Mobile di Caltanissetta, affiancata dal Commissariato della Polizia di Stato di Gela e dalla Squadra Mobile di Brescia, ha, però, garantito ulteriori scoperte, concernenti la massiccia azione condotta dagli esponenti del clan Emmanuello nel settore economico, giungendo, in talune ipotesi, ad assumere posizioni di vero controllo nel mercato di interesse.
Il cavallo di Troia, a disposizione delle volontà del gruppo, era l'attività condotta dall'imprenditore Sandro Missuto, titolare di due importanti imprese, la I.G.M. s.r.l., operante nel settore dei trasporti speciali, e la I.C.A.M. s.r.l., presente, invece, in quello del movimento terra e del calcestruzzo; quest'ultimo, infatti, può ritenersi vero “dipendente” del boss Carmelo Massimo Billizzi, già reggente dell'entità malavitosa, ed attualmente detenuto: tanto da rispondere direttamente al superiore referente grazie all'intermediazione di Maurizio Trubia, recentemente arrestato nel corso dell'operazione “Gheppio”, con l'accusa di aver assunto il controllo del clan, a causa delle defezioni nei suoi due predecessori.
Prova inequivocabile della morsa perpetrata dagli “uomini d'onore” sull'intera zona nissena, e più in generale su quella regionale, secondo gli investigatori, può rintracciarsi nelle strategie programmate, in Sicilia, da una protagonista del settore delle costruzioni a scopi civili, la Safab s.p.a., con sede a Roma, strettamente connessa ai movimenti delle aziende riconducibili a Sandro Missuto, e dunque al clan Emmanuello di Gela; più semplicemente, l'azienda della capitale, perseguendo l'intento di agire indisturbata da pressioni e richieste criminali, aveva individuato nella I.G.M. s.r.l. e nella I.C.A.M. s.r.l., l'asse portante di una struttura difficilmente scalfibile, che le avrebbe permesso di espandersi all'interno dei confini isolani.
La Safab s.p.a., con un patrimonio netto al 2007 di 12.307.730 euro, così, ha acquisito importanti commesse regionali, fra queste quella per il termovalorizzatore di Bellolampo, in provincia di Palermo, e quella per la realizzazione della rete irrigua dell'invaso Disueri a Gela, consentendo, però, alle imprese controllate da Sandro Missuto, di operare liberamente negli ampi spazi dei subappalti, in cambio della protezione assicurata dallo stesso, in nome di Daniele Emmanuello e dei suoi sudditi, capaci di intercedere anche con esponenti della mafia catanese e palermitana. Nonostante ciò, fino a prova contraria, è possibile consultare il codice etico redatto dai vertici della società laziale, nella cui premessa si legge testualmente che “la Safab s.p.a. è consapevole di contribuire con il proprio operato, con senso di responsabilità ed integrità morale, al processo di sviluppo dell'economia italiana ed alla crescita civile del paese” aggiungendo, ancora, “l'impresa crede nel valore del lavoro e considera la legalità, la correttezza e la trasparenza dell'agire, presupposti imprescindibili per il raggiungimento dei propri obiettivi economici, produttivi, sociali”.
L'intento espresso dagli inquirenti, mediante l'operazione “Cerberus”, è stato quindi quello di tagliare tutte le connessioni sussistenti nel settore economico-finanziario, costruite, nel corso degli anni, dal gruppo di spicco di cosa nostra gelese, favorito dalla superficialità dimostrata, ancora una volta, da taluni rappresentati istituzionali locali; non è un caso che tra i frequentatori della dimora di Calogera Pia Messina vi fossero almeno due titolari di cariche pubbliche, un consigliere comunale ed un ex consigliere provinciale, rivoltisi alla “matrona” per ottenere benefici in favore di propri parenti.
Del resto, come già ribadito da altre precedenti inchieste, gli arresti e i lunghi periodi di detenzione abbattutisi sugli uomini delle cosche, hanno indotto le donne dei vari gruppi ad acquisire maggiore carisma, legittimandosi nella carica di rappresentati dei rispettivi congiunti: è il caso, infatti, di Calogera Pia Messina e di Stefania Cascino, moglie di Carmelo Massimo Billizzi, tra le tessitrici della ragnatela predisposta dai capi indiscussi.
Nuovo violento attacco, dunque, ad una criminalità organizzata capace, però, di riorganizzarsi, ma di certo fortemente debilitata, soprattutto nella sua azione economica.


Autore : Rosario Cauchi

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