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notizia del 13/05/2012 messa in rete alle 18:18:53
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Rocco Cuvato artista controcorrente
Nel modo comune di vedere le cose si ha un’idea un po’ bizzarra di chi pratica l’arte. Pittori, fotografi, amanti del bello spesso li immaginiamo con un modo di fare stravagante, ma non tutti tengono fede a questo stereotipo ed è il caso di Rocco Cuvato. Esperto nel settore della grafica a tal punto da farla diventare la sua professione, intenditore d’arte come pochi se ne incontrano al giorno d’oggi, Rocco Cuvato (nella foto) si definisce un autodidatta. Ha imparato da solo senza l’aiuto di studi, maestri, scuole. La sua bravura è frutto della sua creatività, della sua passione, perché quando il talento è innato bastano i sentimenti, le emozioni, l’estro per raggiungere quella maestria che si acquista talvolta alla fine di un lungo percorso in cui ci si ritrova indottrinati a dovere, ma senza quel quid in più che si chiama talento, attitudine, inclinazione.
La singolarità di Cuvato è concentrata nella sua tavolozza di colori, nei soggetti dei suoi scatti, nella sua mente che intravede l’arte anche nelle cose più banali, nei suoi disegni e nelle sue tele che raffigurano il nudo artistico, girasoli, figure di donne inquietanti e di donne che hanno fatto della propria semplicità e purezza uno stile di vita, come Madre Teresa di Calcutta. Rocco Cuvato ama la sua città e probabilmente è un amore corrisposto, Gela gli regala spesso tramonti da immortalare e ricordi di quel che era un tempo. Uno degli aspetti più belli di chi pratica l’arte è quello di poterla mettere al servizio dei più giovani e Rocco Cuvato lo fa presso la chiesa Regina Pacis dove oltre ad essere scenografo è anche animatore, durante il periodo estivo, di attività artistiche.
– Rocco, quando ha sentito che l’arte stava diventando più che una semplice passione?
«Ormai da molto tempo. Fin da piccolo sono sempre stato attratto dal bello e sfogliando qualche libro d’arte, guardando dei quadri mi perdevo in quell’oceano di emozioni. Ero interessato a ciò che vedevo e cercavo quante più informazioni possibili sugli autori e su quello che volessero rappresentare. Sognavo Roma, la Cappella Sistina era la massima espressione dell’arte. In quel periodo non esisteva ancora internet però c’era la biblioteca comunale che compensava benissimo».
– Amante della fotografia, esperto nella grafica, capace di mescolare i colori e dare vita a nuove dimensioni. Si può essere così devoti all’arte da amarla in tutte le sue forme?
«Sì, eccome. L’amore per la fotografia è nato intorno ai 17 anni. Mi piaceva fotografare, avevo molti amici con la mia stessa passione con i quali spesso uscivo la sera tardi per fare scatti notturni, esperimenti fotografici in camera oscura. Ne avevo una nel garage quasi come fosse un accampamento. La prima macchina fotografica è stata una Fujica semi-professionale. Meravigliosa. Usavo le mie foto anche per i lavori di grafica, in quel periodo collaboravo con diverse tipografie del posto. La grafica pubblicitaria a Gela era spicciola, non c’erano molti stimoli e anche in questo campo ho cominciato a sperimentare e a fondere foto, testi e pittura. La fotografia, la pittura e la grafica presto sono diventate esigenze interiori, un prolungamento di me stesso. In quel periodo non dipingevo molto, ero più attratto dal disegno. Mi rifacevo ai grandi maestri del passato, in modo particolare al Pontormo, ad Andrea Del Sarto e al Rosso Fiorentino. Più tardi, iniziai col colore grazie ad un pittore che esponeva a Gela dove lavoravo io. Vide alcuni miei schizzi, mi fece i complimenti, mi disse che se li avessi colorati avrebbero preso forma. Era vero».
– C’è un dipinto o una creazione a cui Rocco Cuvato è particolarmente legato?
«Sì, un paio. Una maternità in particolare che ha dentro la magia che ogni opera dovrebbe avere. Pochissime volte ho visto qualcosa del genere nelle mie e nelle altre opere, forse perché questa in particolare è legata ad un periodo importante della mia vita, non per la tecnica o altro».
– Quale esperienza di scenografo al Cesma?
«L’esperienza come scenografo mi ha aiutato a sviluppare e ad affinare alcune tecniche come la lavorazione, la trasformazione e la valorizzazione di un materiale povero come il polistirolo facendolo diventare un’opera d’arte. Questa abilità mi è stata utile per le maschere e le sculture dei musical The Lion King e Aida.
– Quanto conta, da persona impegnata nel settore, la carenza di cultura artistica e di "bello" nella nostra città? Da cosa è dovuta questa situazione?
«Sono innamorato di Gela così com’è, anche se la vorrei strutturata in maniera diversa. Immagino la mia città organizzata con le piazze esistenti in periferia, senza le panchine rotte e con il verde curato dove poter assistere a concerti o a manifestazioni di qualsiasi genere. Sarebbe bello poter passeggiare lungo il porto e se ci si stanca potersi sedere sulle panche ormai distrutte. E immagino molto altro ancora. La situazione attuale qui a Gela è dovuta alla mancanza di cultura e di educazione civica, anche se noto una buona presenza di giovani impegnati nel mondo dell’arte che organizza mostre ed eventi importanti. Mi ritengo fortunato perché spesso sono coinvolto in prima persona. Penso che se avessimo avuto questa generazione un decennio addietro in politica, oggi potremmo anche parlare di cultura artistica e di bello».
Autore : Greta Smecca
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