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notizia del 21/11/2008 messa in rete alle 18:07:20
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La Raffineria pronta al confronto
Un inaspettato rigurgito della questione ambientale legata alla stabilimento con un repentino inasprimento delle relative polemiche, ha visto i vertici della Raffineria di Gela (nella foto il presidente Giuseppe Ricci, l’ad Battista Grosso ed altri dirigenti) uscire allo scoperto e spiegare le ragioni del proprio operato attraverso un'apposita conferenza-stampa indetta nella mattinata di giovedì 20 novembre. E' il presidente Ricci a parlare in prima persona, assistito in taluni frangenti dall’ad Grosso. L’ing. Ricci ammette l'errore storico compiuto prima del suo insediamento in riferimento alla mancanza di un'adeguata politica di apertura e comunicazione con il territorio. Dal 2004 è in atto un cambiamento culturale interno ed esterno poichè il primo obiettivo da raggiungere era il recupero di un'immagine devastata dalla vicenda del Pet-Coke nel 2002. Solo così è stato possibile iniziare un piano di risanamento ambientale, costato finora 250 milioni di euro ed avallato dal nuovo management Eni con in testa l'amministratore delegato Scaroni. La leadership della società di Piano del Signore non riesce e non vuole nascondere un certo rammarico a fronte del nuovo stato d'accusa in cui sembra ripiombare ed a questo punto, continua Ricci, "bisogna capire cosa si vuol fare, con il territorio e non a prescindere da esso: ci sono sul tavolo oltre 500 milioni di euro, nel quadriennio fino al 2010, per interventi di ammodernamento del ciclo produttivo, miglioramento dell'efficienza, riduzione dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti, inclusa la CO2, riduzione del consumo di risorse idriche".
Peraltro, la situazione di crisi finanziaria ha indotto l'Eni ad "un taglio del 50% degli investimenti senza intaccare la realtà produttiva gelese, che è stata, invece, interessata da investimenti ed iniziative di tipo ambientale, quali lo Snox, il Taf, i doppi fondi nei serbatoi, l'eliminazione delle linee interrate e l'ipermeabilizzazione della rete fognaria, non dovute per legge ed intese ad un aumento della produttività e non della produzione". L'attenzione è particolarmente rivolta sul «trattamento acque di falda» e sul «depuratore fumi Snox». La messa in sicurezza della falda e la sua bonifica avviene da quasi due anni grazie all'entrata in esercizio del Taf: "primo impianto al mondo capace di recuperare l'acqua della falda inquinata, depurarla e, quindi, convertirla in acqua distillata per la produzione del vapore".
Attraverso soprattutto lo Snox, a regime dal 1999 e migliorato nel 2005, "le emissioni in atmosfera si sono ridotte di ben 5 volte" nell'ultimo decennio e "sbaglia chi pensa che non sia un'innovazione tecnologica d'avanguardia per quanto costosa" tant'è che "lo vogliono realizzare in Austria ed in Brasile". Del resto, "lo stesso Coking sta interessando la Spagna ed il Portogallo, oltre le realtà nordamericane". A differenza della gassificazione del pet-coke, come avviene a Falconara e che "comunque lascia aperta la questione del trattamento delle ceneri", il Coking, attraverso lo Snox (tecnologia esclusiva Eni), "non tratta il prodotto ma i fumi abbattendoli". I dubbi sollevati da Legambiente circa Ipa e metalli pesanti non trovano riscontro nel "monitoraggio continuo e nei sistemi di rilevazione adoperati in quanto riescono, solo a volte, appena a superare la soglia minima (neanche massima) di tollerabilità". Al riguardo, la Raffineria di Gela ha già dato, lo scorso anno, la propria disponibilità "a far analizzare i fumi dei camini della centrale da parte di società selezione da Legambiente purchè qualificate e certificate". La stessa tecologia Est (altra esclusiva Eni) invocata dalle colonne di questo giornale una settimana fa, è stata scelta per Sannazzaro poichè strategicamente quel sito pone un problema logistico-economico dovuto alla sua natura: "unica realtà di terra (senza sbocchi a mare) che produce oli combustibili".
Dal 2004, ribadisce Ricci, la politica aziendale è cambiata, intraprendendo un "percorso di trasparenza e di confronti continuo" con tutti i soggetti presenti nel territorio in cui insiste lo stabilimento, compreso il consiglio comunale che in una discussione monotematica sull'ambiente d'inizio settimana ha approvato un documento unico, denominato delle 5R (Riconversione, Risanamento, Recupero, Ristoro e Risarcimento), in cui si torna a prendere di mira il Pet-Coke. I vertici aziendali, in merito, non lasciano adito ad alcun dubbio: "li abbiamo già invitati ad un confronto in passato e siamo pronti ad incontrarci con i consiglieri come e quando vogliono loro: in consiglio, in raffineria, ovunque purchè si vada ad un chiarimento". Per contro, la Raffineria "non è disposta a ragionare per paradigmi" come quello relativo all'inquinamento "che non si vede, che s'insinua nelle viscere della terra, che impregna l'insalata, che si annida nella frutta, che penetra nell'organismo umano" così come affermato dal sindaco Crocetta, il quale ha dichiaratamente chiesto "un risarcimento del danno senza aspettare sentenze o nuove leggi". Ricci e Grosso hanno categoricamente escluso, non foss'altro per un principio fisico, che la falda, che va da monte a valle, possa coinvolgere terreni agricoli e circostanti il perimetro, tenuto conto dei due fiumi che assurgono a vere e proprie barriere fisiche, a cui è da aggiungere il recupero del Taf e, soprattutto, in presenza di una barriera idraulica in grado di intercettare oltre 5000 metri cubi d'acqua e che, pertanto, già da sola basta a contenerne il flusso". Sulle barriere proposte dal Ministero dell'Ambiente, conclude l'Ing. Ricci, "abbiamo dei dubbi riscontrati su studi condotti su Livorno, mentre su Gela lo studio è in via d'espletamento con l'Università La Sapienza". In particolare, la richiesta ministeriale, valida per tutti i siti industriali ed "unica nel suo genere in Europa" vorrebbe incrementare la profondità delle barriere fino a 50-60 metri, fino cioè a toccare l'argilla, con l'effetto di "sigillare il sito e creare problemi in termini di stabilità generale a partire dallo stesso sottosuolo in presenza di condizioni metereologiche particolarmente avverse". Del resto, nel recentissimo "Accordo di Programma di Priolo", la soluzione avanzata dal ministero è stata accantonata. L'unico momento in cui il Presidente della Raffineria è sembrato irrigidirsi di colpo è, ovviamente, quello in cui s'è parlato di danno ambientale e relativo risarcimento: "il danno ambientale è oggetto di discussione con il Ministero dell'ambiente che è l'unica sede appropriata; quanto al risarcimento è una parola grossa, giacché in passato abbiamo inquinato ma anche portato sviluppo economico".
In sostanza la questione ambientale torna d'attualità ed in modo dirompente. Una questione antica 6 anni allorquando la magistratura locale mise sotto sequestro tre impianti (il Pm ne aveva chiesto 6). Ci fu un decreto legge poi convertito in legge e tutto tornò alla normalità con il dissequestro. Da quella vicenda nessuna delle parti interessate fece una gran figura. La magistratura mostrò un eccesso di zelo formale ed ermeneutico nell'applicare il provvedimento di sequestro susseguente all'accertamento della violazione della Legge Ronchi: il 30% degli impianti vitali fermi, che portava con se il blocco pressocché totale della raffineria Agip e quindi a catena degli impianti Enichem, il porto isola, depuratore e dissalatore. In più, la prospettiva della disoccupazione per 3.000 lavoratori e famiglie: insomma non era difficile ipotizzare una protesta collettiva. Lo stesso Governo Berlusconi, tamponò con decreto-legge e poi lo convertì in legge senza sostanziali modiche, perdendo l'occasione per intavolare una seria trattativa con Eni. Per non parlare degli enti locali, Comune in testa, Provincia a ruota, da sempre spettatori in attesa di eventi. Oggi non sembrerebbe così: il consiglio comunale ed il sindaco, palesano di non voler più attendere oltre, vogliono anticipare i tempi e sferrano l'attacco.
Le chiavi interpretative sono sostanzialmente tre. Innanzitutto, in questi anni, è aumentata la sensibilità collettiva sul tema ambientale, anche da un punto di vista della sicurezza sul lavoro e sanitario in genere. Nella società civile cittadina è accresciuto vistosamente il volontariato e l'associazionismo che ha fatto passi da gigante al fianco del tradizionale ambientalismo di soggetti ed enti preesistenti. La seconda chiave è quella che ha messo seriamente in difficoltà la posizione del sindaco, mostratosi assolutamente contrario all'Eolico mentre aveva abbassato la guardia sul pet-coke. La terza è relativa agli ultimi avvenimenti contestuali, come emissioni sospette ed odori nauseabondi che hanno messo in pre-allarme la politica e le istituzioni: ricordiamo l'ordinanza in 4 punti del sindaco, la nota della Provincia, l'interrogazione parlamentare dell'on. Donegani, la richiesta di una conferenza di servizi da parte del presidente della commissione sanità Trufolo. A ciò dobbiamo aggiungere l'iniziativa sindacale con la raccolta delle firme per dire "stop ai lavori di stoccaggio delle vecchie tubazioni degli impianti della raffineria di Gela impregnate di sostanze nocive, causa delle esalazioni che stanno provocando i disagi ed i malori degli ultimi giorni e rendendo inoltre l'aria di Gela irrespirabile", per poi finire ai nostri giorni con il documento unico del civico consesso e la richiesta di risarcimento per danno ambientale del sindaco Crocetta, di cui sopra, in quella che possiamo definire una vera e propria escalation.
Ma c'è un aspetto, fra i tanti, che rischia grossolanamente di passare inosservato. E' vero che lo stabilimento sopravvive in ragione di una legge parlamentare ad hoc che cambiò le regole del gioco sotto gli occhi increduli del magistrato di turno. Ma è altrettanto vero che il tutto fu rinviato al giudizio della terza sezione della Corte Europea che si pronunciò nel gennaio 2004. Secondo l'ordinanza, in parole semplici, pur concependo il Pet-Coke un rifiuto, lo stabilimento di Gela non viola la normativa europea perchè "non si disfa di esso" ma lo riutilizza. L'ordinanza però va oltre: "Il coke da petrolio prodotto volontariamente in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/ Cee". Per chi non l'avesse ancora capito, il pet-coke è volontariamente prodotto nella raffineria di Gela, tenuto conto delle caratteristiche del petrolio grezzo che vi è trattato. E' una scelta aziendale che ha la sua economicità perché è verosimile che il suo costo sia più basso di un qualsiasi altro combustibile. Il Pet-Coke è una scelta aziendale e non una necessità: di questo i cittadini e, terrei a precisare, soprattutto i lavoratori che nello stabilimento operano devono averlo chiaro in mente.
Autore : Filippo Guzzardi
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