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notizia del 17/10/2010 messa in rete alle 18:04:04
Per un modello di economia sociale
Recentemente sono intervenuto per esprimere una personale opinione sui mutamenti economici e sociali in atto, in particolare nel nostro territorio, indicando nello sviluppo dell’impresa sociale un possibile momento di rilancio, in una fase di forte disagio socio-economico (vedi Corriere di Gela“ del 2 ottobre 2010 “La terza via dell’economia gelese”). Voglio tornare sull’argomento e trattare più a fondo la materia dell’economia sociale, possibile fattore di crescita per il nostro comprensorio. Prima di affrontare gli aspetti delle politiche sociali a livello locale e i loro possibili effetti sulle imprese del terzo settore, ritengo opportuno, però, dare qualche breve indicazione sui parametri distintivi del non profit e sottolinearne il contributo che esso dà all’economia nazionale.
Il terzo settore, nato spontaneamente nella seconda metà degli anni ottanta, in coincidenza dell’inizio della crisi finanziaria del welfare state, promuove la partecipazione dei cittadini allo sviluppo dell’offerta di servizi di interesse collettivo, principalmente attraverso il volontariato. E’ negli anni novanta che il non profit assume una specifica entità economica con la produzione diretta in forme stabili e organizzate di servizi alla persona e alla comunità da parte delle imprese sociali. Ciò crea un aumento di domanda di tali servizi, la cui soddisfazione viene delegata, dalla pubblica amministrazione, alle aziende non profit. Attualmente il terzo settore contribuisce alla ricchezza nazionale con il 4% del PIL complessivo e con oltre un milione di addetti pari al 3% dell’occupazione totale; in Italia, comunque, l’apporto del non profit all’occupazione è di gran lunga inferiore rispetto alla media europea che è del 6% (cfr. Marco Crescenzi, intervento alla II conferenza nazionale su: “professioni e occupazioni nel terzo settore”). Nel variegato mondo del terzo settore assume particolare rilievo il cosiddetto non profit “professionale” che opera nel campo dell’assistenza sociale nell’ambito della legge 328 del 2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali).
Proprio il piano di zona dei servizi sociali è stato presentato qualche giorno fa a Gela, facendo per la prima volta riferimento allo sviluppo dell’impresa sociale. Appare, in questo senso, “rivoluzionaria” la dichiarazione dell’assessore comunale al ramo, Fortunato Ferracane, il quale sostiene di voler passare dal semplice (a volte inutile) contributo alla singola associazione alla centralità dell’individuo-utente, con la conseguenza che ad erogare i servizi dovranno essere delle vere e proprie imprese sociali. Ritengo che l’allontanamento dalla logica “assistenzialistica” possa essere un buon punto di partenza per creare un modello di economia sociale che riesca a radicarsi nel nostro territorio. In questa ottica credo che sia opportuno attuare una serie di interventi: realizzare un processo di collaborazione continua tra il Comune e il mondo del terzo settore, in cui l’ente pubblico abbia un ruolo di promotore e regolatore dell’economia sociale; creare un ufficio ad hoc come interfaccia tra l’amministrazione e le imprese sociali; promuovere la formazione di nuovi imprenditori sociali; favorire l’ampliamento del campo d’intervento del terzo settore – istruzione, università, ricerca, tutela e valorizzazione dell’ambiente e del territorio; programmare un piano d’interventi pluriennali per sostenere i settori non profit e low profit. Tali azioni riceverebbero il supporto dell’Unione Europea attraverso il finanziamento di progetti specifici. Uno di questi è il progetto Urban N.O.S.E. (network of social enterprises), già finanziato, che prevede la realizzazione di una rete di incubatori di impresa sociale per lo sviluppo urbano sostenibile. Sarebbe inoltre opportuno che anche la raffineria e le imprese ad essa legate contribuissero finanziariamente investendo in settori diretti a soddisfare nuovi bisogni (salute, vivibilità, cultura, tempo libero, etc..). Questo sarebbe indubbiamente un bel modo per farsi “perdonare” i disastri compiuti nel passato. Se ciò avverrà tra alcuni anni, parafrasando il titolo del saggio di Hytten e Marchioni (“Industrializzazione senza sviluppo, Gela una storia meridionale), potremmo dire: sviluppo senza industrializzazione, Gela una storia di un nuovo meridione.
Autore : Emanuele Antonuzzo
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ciao
Autore: roberto cippitani
data: 19/10/2010
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