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notizia del 21/08/2011 messa in rete alle 17:42:32
La mala sorte su una provincia mai nata
Pur in una fase storica come quella attuale in cui Gela esprime ben 4 parlamentari e pur a fronte di un disegno di legge di iniziativa popolare - rarità assoluta in Sicilia - frutto del lavoro di un comitato cittadino che riunisce una quarantina di associazioni impegnate nella società civile, non ci poteva essere periodo peggiore per vedere finalmente realizzata un'ambizione che si protrae da oltre mezzo secolo, volta ad istituire la Provincia di Gela. Approdato all'Ars e quindi giunto in dirittura d'arrivo, il disegno di legge dovrà essere esaminato nei mesi a seguire, a partire dalla Commissione Affari Istituzionali, nel momento probabilmente meno adatto, dominato da un dibattito che, sotto la forte spinta del vento dell'antipolitica, preme per abolire le province, più che istituirne delle nuove. Un dibattito vivo tanto a Palermo quanto a Roma. Non bastavano le esternazioni del governatore Lombardo ed i due disegni di legge all'Ars, presentati sia dal presidente della Commissione regionale Antimafia Speziale (Pd) a fine luglio che dal suo vicepresidente Marrocco (Fli) ad inizio agosto ed entrambi favorevoli ai liberi consorzi di comuni. Ora ci si mette pure il Governo centrale con la soppressione, prevista dalla «manovra bis», di tutte le province al di sotto dei 300 mila abitanti e dei 300 mila metri quadrati. Quindi, ben altra tendenza rispetto all'aspirazione di veder costituita la decima provincia isolana. Un'aspirazione più che legittima, ma seriamente a rischio di non essere soddisfatta.
La manovra fatta passare come anticrisi non abolisce affatto alcuna provincia. Propugna semmai un riordino degli enti locali ispirato esclusivamente dallo scopo di tagliare tutti quei costi sostanzialmente dettati dal personale politico eletto e derivato. Il discorso non riguarda solo le 29 province che singolarmente sparirebbero (post censimento), ma anche i quasi duemila comuni al di sotto dei mille abitanti per i quali sarebbe prevista analoga sorte. Inutile chiedersi, al momento, quali competenze andrebbero alla regione e quali competenze andrebbero ai comuni nei territori interessati, specie in tema di sicurezza (prefetture, questure, comandi dei carabinieri), scuola (provveditorati) e quant'altro. In realtà più che di cancellazione, è corretto parlare di accorpamenti con le semplici conseguenze che ne derivano in termini di riduzione dei costi, per quanto concerne il personale politico e non quello amministrativo. Se Caltanissetta ed Enna da sole non ce la fanno, nulla vieta alle due province di fondersi in una “Caltanissetta-Enna”, ovviamente (ed ecco il risparmio) con una presidenza in meno, una giunta assessoriale in meno, un consiglio provinciale in meno; ma anche una prefettura in meno, così come un provveditorato agli studi in meno e via di seguito. D'altra parte, nulla vieterebbe agli attuali comuni del nisseno e dell'ennese di rifiutare una tale nuova provincia e chiedere l'annessione ad altre (ad esempio, Palermo, Agrigento o Catania). Il discorso vale per tutte le province colpite. A ciò va aggiunto che le regioni a statuto speciale possono benissimo non recepire il provvedimento e lasciare tutto invariato. Insomma, il rischio è di un pasticcio normativo, frastagliato, che crea non una, due, ma differenti Italie, con Regioni organizzate e disciplinate, dal punto di vista dell'amministrazione periferica statale, diversamente fra loro.
Un passo indietro sul piano del decentramento dei servizi, di proporzioni addirittura colossali in certi casi, come in quello del possibile ritorno alla “Repubblica Marinara di Genova”. Altamente indicativa è infatti la situazione che si verrebbe a creare in Liguria in cui rimarrebbe Genova come unico capoluogo di provincia oltre che di regione: ebbene, i comuni del “Ponente Ligure” alla prospettiva di un accorpamento tra le province di Imperia e Savona, hanno già detto no a Genova firmato un documento in cui preferiscono l'allargamento invece a Cuneo che è, però, in Piemonte, ovvero la secessione addirittura in Costa Azzurra, minacciando di far decidere i propri cittadini attraverso l'indizione di un apposito referendum. Suscita non poca ilarità, del resto, costringere i consigli regionali a dimagrire nel numero dei membri eletti, mentre tale dieta non la si ritiene utile, per non dire doverosa, estendere anche al parlamento nazionale che rimarrebbe così invariato nel numero degli “onorevoli”, alcuni dei quali, peraltro, possono ancora continuare a conservare la carica condividendola con altre (che dovrebbero essere almeno moralmente incompatibili), come quella in primis di sindaco nel proprio bacino elettorale. Il tutto dopo anni in cui si è vociferato, anzi urlato, di devolution, decentramento e federalismo amministrativo. Per non parlare della circostanza che vede ammainare, con questa terza pesantissima manovra fatta di tagli, l'ultima bandiera (in ordine di tempo) del cosiddetto federalismo fiscale, oramai definitivamente sepolto da un cambio che è rimasto solo nella terminologia ma non anche nella sostanza della politica economica e della finanza derivata italiane. Non si chiameranno più trasferimenti statali ma sempre quelli sono ad essere chirurgicamente sforbiciati. E, nella manovra di lacrime e sangue, vengono pure innalzate le tasse.
Abolizione si ha quando tutte le province vengono cancellate come ha già proposto un emendamento al Senato dove è iniziato l'iter di discussione ed approvazione della manovra. Ma sia ben chiaro che, nel qual caso, dovranno essere comunque sostituite con altri enti intermedi tra Comuni e Regioni, perché a dirlo non è chicchessia, ma la Costituzione della Repubblica Italiana. E se a Roma regna la confusione, Palermo non è da meno, anche e soprattutto per ragioni di retaggio storico. Un documento ufficiale che abolisce espressamente le province esiste davvero e si chiama Statuto Siciliano. Abolizione disposta nel 1946, non nel 2011. Una classe politica siciliana purtroppo succube di quella romana, ha reiterato attraverso rinvii e proroghe tale equivoco, mantenendo in vita le 9 province ereditate dal fascismo (con tanto di prefetture abusive) fino ad istituzionalizzarle con legge regionale nel 1986 sotto la dizione “province regionali”. Tra tira e molla, fughe in avanti e retromarce repentine, in questo mezzo secolo si è detto di tutto e di più. E la verità è che la classe politica siciliana è lungi dall'essere credibile. Potrà mai l'Ars accettare l'imposizione romana e ridurre il numero da 90 a 50 membri, quando c'è la scusante di un numero 90 scritto a chiare lettere nello Statuto Siciliano adottato con Legge Costituzionale e quando solo pochi mesi fa la proposta di ridurre il numero da 90 a 70 è stata bocciata dalla stessa Assemblea regionale? Può avere credito l'asserzione del presidente Lombardo secondo cui si faranno i liberi consorzi dei comuni senza abolire le province che moriranno da sole? Cosa significa che moriranno da sole? Non ci saranno campagne elettorali alle prossime elezioni provinciali? I catanesi, i messinesi, i palermitani, i siracusani e via discorrendo non andranno a votare alle prossime provinciali? Il tutto mentre questo Governatore assiste inerme all'affossamento all'Ars della riforma, voluta dal suo assessore (tecnico) Venturi, dei consorzi Asi: esperienza fallimentare come quella degli Ato e degli Iacp. Anziché, cioè, spingere per l'espulsione una volta per tutte dalla vita dei cittadini di questi mostri clientelari, autentici stipendifici a base provinciale, affidandone le competenze direttamente alle province elettive o in alternativa ripartirle anche a Regione e Comuni, si vorrebbe ridurre il personale politico eletto eliminando giusto le province elettive o minacciando di farle morire di morte naturale. Sostituendole o affiancandole eventualmente e nel frattempo con che cosa?
Li chiamano «liberi consorzi di comuni» perché lo dice lo Statuto, ma se poi vai a leggere i relativi disegni di legge all'Ars, di libero c'è ben poco o nulla, tra vincoli (almeno 20 comuni, contigui), limiti (non meno di 200 mila abitanti), diritti di opzione esercitabili (in fase di prima applicazione i capoluoghi di provincia attuali partono in situazione di vantaggio nel candidarsi a comune capofila, con una situazione di contrasto con i comuni con il maggior numero di abitanti: casi eclatanti reiterati Caltanissetta-Gela e Trapani-Marsala) che vanno a ricalcare sostanzialmente le attuali province regionali con l'unico “vantaggio economico” che non ci saranno più presidenti, assessori e consiglieri provinciali eletti e stipendiati, ma gli stessi sindaci e presidenti dei consigli comunali, senza indennità aggiuntiva. Sindaci e presidenti dei Consigli comunali che poi non potranno, ovviamente, occuparsene in prima persona perché indaffarati a livello comunale e che per partecipare alle sedute della giunta consortile o del consiglio consortile, nomineranno altri, per i quali, siamo prontissimi a scommettere, ci saranno inizialmente gettoni di presenza, per poi passare più avanti col tempo alle indennità. E l'esperienza consortile da queste parti ci fa dedurre ci saranno altri debiti. Ci riferiamo cioè a consorzi comunali già esistenti, vedi Ato Ambiente, chiamati ad assicurare un servizio come quello della raccolta dei rifiuti nelle varie discariche con comuni che pagano ed altri no. A proposito: con i “liberi Consorzi” si provvede ad una nuova delimitazione degli Ato Rifiuti, ma sfugge il perché non è prevista tale ipotesi anche per gli Ato Idrici con tutto quel che ne conseguirebbe in termini di rescissione contrattuale con le Associazioni Temporanee di Imprese che si sono aggiudicate il Servizio Idrico Integrato, per poter passare così ad una gestione pubblica. In barba al tanto osannato recente esito referendario.
In definitiva, con un pizzico di sarcasmo dobbiamo arguire che rimarranno in vita consorzi “efficientissimi” come Asi ed Ato a cui si aggiungeranno i liberi consorzi di comuni che sostituiranno le province. Verrà dato un colpo mortale alla “Casta”. Infatti, al personale eletto dai cittadini subentrerà il personale nominato dai vertici politici e se c'è da fare una strada intercomunale o una scuola superiore, varrà la pena di indebitarsi nei “liberi consorzi” perché se si aspetta che paghino tutti i comuni singolarmente, quella strada o quella scuola superiore non si farebbe mai. W la democrazia rappresentativa ed il principio di sussidiarietà! Inoltre, l'unico Commissario del Governo presso le Regioni rimasto, quello a Palermo (W l'autonomia!), si farà i fatti suoi e non si metterà di traverso nei confronti dei due disegni di legge che non affrontano l'argomento “prefetture”. E la Provincia di Gela? Semplice, non è mai nata.
Autore : Filippo Guzzardi
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