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Corriere di Gela | La soluzione alla crisi? L’aspettativa...!
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notizia del 03/05/2010 messa in rete alle 17:30:00

La soluzione alla crisi? L’aspettativa...!

Fino agli anni '70 lavorare “in stabilimento” significava acquisire uno status, sociale e professionale, certamente diverso da quello dei contadini o, ancora, di altre categorie: operaio specializzato e un futuro assicurato nella grande famiglia dell'industria pesante stabgelese! Oggi, invece, le riflessioni dirigenziali e le strategie di mercato confluiscono tutte verso un unico centro: dismissioni di impianti, riduzione di personale e commesse; anche l'Eni, insomma, riflette su un futuro assai difficile da decifrare.

Qualche giorno addietro i rappresentanti dei sindacati confederali lanciavano, ancora una volta, l'allarme “cassa integrazione” tra i lavoratori delle aziende dell'indotto, “il 70% dei dipendenti si trascina in regime di cassa integrazione ordinaria e molte aziende vogliono ora far ricorso a quella straordinaria, anticamera del licenziamento”.

Almeno fino a settembre, secondo i programmi varati da “Raffineria di Gela”, l'indotto potrà contare su un numero assai limitato di forza lavoro attiva, per rafforzarsi solo nel periodo di fermata degli impianti finalizzata alle manutenzioni.

Dunque, il prossimo futuro per molti lavoratori si prospetta alquanto complesso.

E allora?

“Non ci sono grandi prospettive, il lavoro è poco, le famiglie, però, non possono aspettare le decisioni dell'Eni”, e quindi “si tenta di ottenere il più possibile, magari con qualche lavoretto in giro per l'Italia oppure all'estero”, mi dice uno dei tanti operai incontrati in una giornata di presidio dei cancelli.

Sì, perché in tempi difficili si cerca di guardare a qualsiasi proposta possa giungere.

Il meccanismo, del resto, non è così complesso: le aziende dell'indotto, in tempi magri dal punto di vista del mantenimento del personale, si trovano a dover gestire diverse richieste di aspettativa, praticamente dei distacchi dalla datrice di lavoro per un periodo che, in ogni caso, non può superare un anno, fase temporale di sospensione delle retribuzioni e di ogni altro contributo previdenziale. “Basta crearsi una specie di alibi, e il più è fatto, molti utilizzano l'aspettativa quando hanno la possibilità di andare a lavorare, per qualche mese, al nord o anche all'estero, spesso in Africa”, questo mi confida uno dei cassaintegrati del momento.

Normalmente il contatto preferenziale lo si instaura con società locali operanti, però, anche al di fuori dei confini gelesi: nord Italia, Africa, sia nell'area del Magreb che in quella subsahariana, ed Europa; tutto può essere utile, insomma.

“Da quello che so, anche per esperienza di alcuni miei compagni di lavoro, spesso, se hai fortuna, la società che ti contatta ti propone un regolare contratto per un certo numero di mesi, se non lo sei, invece, lavori completamente in nero”, il mio interlocutore appare, da questo punto di vista, abbastanza sicuro. Del resto, conferme, anche se solo tacite, mi giungono da alcuni sindacalisti, molto informati su tutto ciò che ruota intorno al petrolchimico gelese.

Il vero vantaggio di questi periodi di trasferta si manifesta, comunque, nel ricevimento di stipendi assai elevati, certamente superiori a quelli garantiti dalle aziende dell'indotto gelese; “in alcuni casi, soprattutto per manodopera qualificata, quindi lavoratori con ampia esperienza, ad esempio, nel settore metalmeccanico, si può giungere anche a diecimila-dodicimila euro al mese, specie per trasferte in Africa o, comunque, all'estero, ovviamente con vitto ed alloggio assicurati dalla società”.

Qualche mese distanti da casa e i conti si possono ripianare, “o questo oppure la cassaintegrazione e quelle due lire che ti garantisce, finché non hai famiglia puoi anche accontentarti, ma con figli e moglie come fai a campare?”, dubbi espressi da un lavoratore reduce da un periodo di lavoro all'estero.

Se le sicurezze occupazionali mancano, i lavoratori cercano di rimediare come meglio possono: in nero o regolari, diecimila euro al mese non si rifiutano, soprattutto quando il lavoro a Gela potrebbe ancora tardare a manifestarsi.


Autore : Rosario Cauchi

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