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notizia del 03/10/2009 messa in rete alle 17:23:12
Gli ambasciatori della criminalità gelese
Gela, come noto ormai da decenni, esporta nel resto della penisola centinai di propri figli, graditi o meno, fautori di altrui fortune, oppure, nella peggiore delle ipotesi, di non indifferenti ferite del tessuto economico-sociale.
Ritenere che la criminalità organizzata locale debba descriversi alla stregua di una mera tipicità interna, infatti, costituirebbe un assioma privo di qualsiasi riscontro pratico: la Lombardia, la Liguria, il Lazio, ospitano oggi comunità, giunte in taluni casi anche alla seconda generazione, di emigranti gelesi, stanziatisi in territori molto più generosi di quelli di origine allo scopo di ottenere sicurezze, sociali e lavorative, assenti al di sotto di Scilla e Cariddi.
Come del resto si verifica per ogni spostamento di massa, però, ai lavoratori e a tutti coloro che lasciavano loro malgrado la città che li aveva visti nascere, si unirono, in periodi diversi, personaggi già noti ai “paesani” per vicende del tutto estranee agli sforzi generati dal lavoro.
Le conseguenze di un così eterogeneo movimento possono quotidianamente constatarsi: alcune città di provincia, soprattutto in Lombardia, sono state sottoposte ad un processo di repentina crescita demografica proprio a causa dell'arrivo, entro i propri confini, di ingenti colonie gelesi; il caso del comune di Busto Arsizio, in provincia di Varese, può oggettivamente utilizzarsi quale pratico parametro, favorito proprio dalla presenza di almeno ventimila residenti originari del centro nisseno, su una popolazione complessiva di circa ottantamila cittadini.
Simili scenari, in passato distanti da accadimenti in un qualche modo connessi al crimine organizzato, si sono improvvisamente mutati in vere basi strategiche per i gruppi malavitosi gelesi, capaci di approfittare con semplicità di lande quasi del tutto inesplorate.
L'ultima prova in ordine di tempo può rintracciarsi in un'operazione condotta dalla Squadra Mobile di Mantova, volta a bloccare un traffico di stupefacenti avente quali prioritari organizzatori due gelesi, Orazio Razza e Giuseppe Nisellino, residenti in un comune della provincia mantovana, Ostiglia.
Non è ancora chiaro se ci si trovi innanzi a componenti di organizzazioni mafiose: sicuramente, però, citiamo uno dei tanti, troppi, eventi delittuosi generati dall'iperattività di emigranti assurti alla ribalta mediatica, senza ovviamente desiderarlo.
I due arrestati, in ogni caso, sono da considerarsi alla stregua della semplice base di una più ampia struttura gerarchica, consolidatasi nel corso degli anni. Prima di loro, infatti, molteplici sono stati i segnali di un diffuso radicamento della malavita gelese al di fuori dei suoi naturali argini: individui pronti a tutto pur di fagocitare la concorrenza ed imporsi definitivamente esibendosi su nuovi palcoscenici non sono di certo mancati.
Tra i nomi meno eclatanti, ma di certo non inferiori agli altri quanto a capacità di azione, possono citarsi quelli di Angelo Bernascone e Rosario Caci, a testimonianza del controllo acquisito dalle cosche locali al di fuori del contesto nisseno e regionale, ed in special modo in Lombardia e Liguria.
Angelo Bernascone, attualmente collaboratore di giustizia, può ritenersi a tutti gli effetti un classico esempio, perlomeno in questa fase storica, di factotum alle dipendenze di cosa nostra gelese; tra gli arrestati dell'operazione “Tagli pregiati” del 2007, riuscì da subito ad attrarre l'attenzione degli inquirenti, poiché in grado di eseguire al meglio gli ordini promananti dalla famiglia Rinzivillo, investendo i proventi di estorsioni ed acquisizioni fraudolente nel settore dell'edilizia, facendo così sorgere diverse piccole aziende operanti nel medesimo ambito economico, quasi tutte composte da manodopera gelese.
Ovviamente la chiamata da parte di Bernascone non doveva ritenersi a titolo gratuito: al contrario veniva imposto un meccanismo di automatica sottrazione di parte del salario, destinata a coprire i costi sostenuti dal gruppo Rinzivillo.
Le attività edili della cosca riuscirono, peraltro, a raggiungere veri e propri picchi di successo, fino a penetrare, mediante ben cinque ditte, nel cosmo dei subappalti inerenti il raddoppio della centrale termoelettrica di Tavazzano con Villavesco in provincia di Lodi, di proprietà dell'Enel, per un totale di 4 milioni di euro, il cui appalto principale venne assegnato, per un importo di 41,4 milioni di euro, alla società CMC di Ravenna.
Non mancarono anche in quel contesto irregolarità contributive accompagnate dall'uso di lavoratori in nero, cause scatenanti di un vasto sciopero messo in atto dalle maestranze vessate, risoltosi solo per l'intercessione dello stesso Angelo Bernascone, costretto a spostarsi dalla sede societaria sita proprio all'interno del comune di Tavazzano.
Le zone interne alle provincie di Varese e Brescia divengono in questo modo succursali ove attuare strategie pianificate a Gela; riassuntive di un tale modus operandi si presentano le dichiarazioni rese dagli inquirenti che da anni monitorano il fenomeno, convinti che il territorio di pertinenza sia divenuto “una proiezione della struttura criminale al di fuori di Gela”.
La Lombardia, comunque, non deve ritenersi esclusiva meta degli interessi dei gruppi gelesi, a questa, infatti, può a pieno titolo affiancarsi la Liguria, e più nello specifico il capoluogo Genova, nel quale, almeno dagli inizi degli anni settanta, persiste la stretta dei clan mafiosi gelesi, legati in primis alla cosca Madonia ed al gruppo degli Emmanuello (non è un caso che il boss Daniele Emmanuello abbia trascorso diversi anni della sua vita nella metropoli ligure), dediti prevalentemente al traffico di sostanze stupefacenti e alla gestione dei lucrosi affari della prostituzione e del gioco d'azzardo.
Il centro storico genovese è da sempre area di transito dei più disparati affari illeciti, proprio in tale settore urbano il clan Madonia è rappresentato dal gelese Rosario Caci, già condannato a diciassette anni di carcere per traffico di stupefacenti, ma ritornato, dopo aver espiato il debito con la giustizia, sui luoghi del delitto, in apparenza, secondo gli investigatori, per collaborare con il figlio alla gestione di un bar, ma in realtà per far procedere una macchina ben avviata.
Lo stesso, infatti, quasi a voler ribadire la personale capacità di controllo della zona riuscì, all'indomani della scarcerazione, a rioccupare gli immobili che gli erano stati sequestrati, solo a posteriori destinati a progetti sociali; i tre bassi, tipiche costruzioni presenti nel centro storico della città, e l'appartamento, oggetto del provvedimento giudiziario, erano sue prerogative e nessuno poteva sottrargliele.
Angelo Bernascone e Rosario Caci rappresentano, purtroppo, solo due dei tanti esempi che potrebbero tenersi in considerazione allo scopo di meglio definire i connotati di una mafia locale, all'apparenza sofferente ed asfittica, ma in realtà sempre incisiva quando si tratta di insinuarsi nelle sottili maglie degli affari illeciti.
Autore : Rosario Cauchi
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