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notizia del 22/01/2012 messa in rete alle 16:21:45
Forconi e potere del non fare
Cosa succede se una collettività, invece di evolversi lungo la curva del progresso materiale e immateriale, involve verso una penuria di risorse materiali, immateriali e strutturali?
Chi sa rispondere a tale quesito sa che tale percorso ha fasi caratterizzanti. La "rivolta dei forconi" è una fase di tale processo. Tentiamo una comprensione del fenomeno.
L'autonomia regionale siciliana è stata trasformata da una prerogativa feconda in una opportunità clientelare. La dipendenza è sempre stata la relazione principe del cittadino insulare, con essa si sono costruite le alleanze tra ceti, corporazioni, affiliazioni, consorterie, ordini professionali e categorie lavorative.
Ma la dipendenza ha un presupposto centrifugo: richiede risorse da distribuire e richiede, in maniera complementare, che il "dipendente" sappia a chi chiedere.
Cosa è accaduto nell'ultimo decennio? Le risorse si sono ridotte (posti di lavoro, gare pubbliche, iniziative imprenditoriali, ammortizzatori sociali e welfare regionale e nazionale) e gli interlocutori che governavano tali risorse si sono occultati, ossia hanno cominciato a fiutare che il loro ruolo perdeva carisma ed efficacia. Consapevoli di ciò hanno inventato un nuovo potere: il "no making power" ossia il potere di porre veti e dinieghi, tipico potere di chi, consapevole di non poter esercitare un potere attivo (creativo), esercita un potere di inibizione opportunamente modulato. Esempi di tale potere si osservano nella burocrazia amministrativa siciliana, nella imprenditoria di basso profilo e nel sottobosco di quei poteri che esercitano ruoli di intermediazione nelle filiere produttive. Insomma il sistema esercita la relazione della dipendenza, ma in negativo, non distribuisce risorse ma ricatta con una inibizione o condizionamento dei processi attivi rimasti.
E' quello che osserviamo oggi nella maggior parte dei processi di sviluppo regionali. Ogni tentativo di dotarci di infrastrutture e iniziative di sviluppo viene aggredito da intermediazioni di qualunque genere e da rallentamenti spesso sospettabili.
Pertanto, quando un sistema passa dalla fase dello sviluppo attivo alla fase del "no making power", ossia dello sviluppo passivo o inibitorio, la società civile comincia a creare nuovi processi produttivi che si adattano a tale sistema. Il sistema dei trasporti siciliano è uno di questi. Come uno di questi è il sistema di intermediazione distributiva dei prodotti agroalimentari.
Il sistema dei trasporti si avvantaggia di una rete di comunicazione regionale quasi tutta su gomma e pertanto monopolista, tanto da far nascere la figura del "padroncino" che, pur aggregandosi con associazioni corporative, esercita la sua attività appoggiandosi ad acquisizioni di mezzi lavorativi tramite leasing e soprattutto tramite agevolazioni fiscali che tali settori ancora hanno (es. scarico contributivo del costo del carburante). Un sistema che diviene di fatto indispensabile a tutti i movimenti logistici di merce.
Anche la filiera agroalimentare ha il nucleo nell'intermediazione tra il contadino produttore e la distribuzione al dettaglio, intermediazione ancora non correttamente normata e quindi libera nell'imporre prezzi e condizioni, pena il deperimento della merce.
Ecco, in una regione ove domina il "no making power" si instaurano assetti produttivi e logistici monopolistici e condizionanti. La concorrenza scompare. Non una concorrenza tra attori ma tra infrastrutture. Mancando una valida infrastruttura di trasporti multimodale la Sicilia è ostaggio di singoli nuclei logistici. Ed è quello che sta accadendo.
Nel momento in cui la crisi generale impone sacrifici a tutti i lavoratori ed una tassazione garantita per lo Stato e le istituzioni pubbliche, ecco che scattano le reazioni corporative dure e ricattatorie. Quella che stiamo vivendo in Sicilia è di fatto una rivolta, attuata con la tecnica del "rapimento". Si rapiscono intere collettività, privandole dei mezzi di sostentamento e si ricatta il governo regionale e nazionale. Una tecnica non proprio civile.
Eppure la forza di tale movimento è derivata da un potere amministrativo che vuole continuare ad esercitare il proprio ruolo con la tecnica del "no making power" perché le risorse si sono esaurite. La situazione sprofonda nella rivolta con tecniche preterintenzionali.
Sembra un racconto invece è la pura realtà, figlia di un processo involutivo che ha origini secolari. Uscirne? Come? E la domanda che ogni cittadino insulare si pone. Non basta diminuire le accise dei carburanti o contrastare la concorrenza dei prodotti agroalimentari dei paesi a basso costo. Questo può tutt'al più avvantaggiare qualche corporazione. Occorre porsi il problema delle risorse, dove reperirle, come distribuirle e quale legalità accoppiare alla loro distribuzione. Temi che il governo nazionale dei cosiddetti "Tecnici" sta declinando con la leva delle liberalizzazioni e della lotta all'evasione. Ma questo in Italia significa dichiarare guerra. Ed in una guerra siamo approdati, ed i forconi, branditi come simbolo, rappresentano una delle battaglie campali tra fazioni corporative stanche del "no making power" ma ancora incapaci di progettare una prospettiva di sviluppo che riguarda tutti.
Autore : Sebastiano Abbenante
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