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notizia del 02/11/2003 messa in rete alle 15:40:44
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Rapotez, viaggio all’inferno andata e ritorno
Saranno trascorsi almeno una decina d’anni dall’ultima volta che ci siamo sentiti, e forse ancor più dall’ultima intervista rilasciata al Corriere. E’ stato sempre un tipo estroverso che sa ciò che vuole. Voce robusta baritonale sicura ed è proprio la stessa voce per nulla incrinata quella che ascoltiamo in questo incontro a Piazza Municipio. Il suo mestiere era quello di analista chimico ed aveva uno studio clinico che gestiva assieme alla moglie medico. Poi, incorso in alcune peripezie giudiziarie che si sono concluse con un’assoluzione piena, era tornato a Gela dedicandosi a far andare avanti un’azienda agricola che tra le altre cose tuttora produce fichi d’india.
Ha avuto un passato politico negli anni ottanta, prima nel partito comunista italiano da cui uscì per dissensi e subito dopo aprì a Gela una sede di Democrazia Proletaria che era una tribuna da cui poteva far sentire la propria voce. Poi ancora Lega Verde, da lui fondata e Socialdemocrazia. Resta storica la sua proposta di Gela Porto Franco.
E’ di Giovanni Rapotez (nella foto) che stiamo parlando, la cui vicenda è nota in tutta Italia. Accusato di avere eliminato il suo skipper, il cui corpo non è stato mai trovato, era stato condannato all’ergastolo. Ha trascorso diversi anni in carcere all’Ucciardone di Palermo, poi a Messina. Di recente è stato prosciolto.
Ma non è della vicenda giudiziaria che vogliamo parlare quanto dell’esperienza vissuta che lo ha provato psicologicamente, della sua voglia di riscatto e di volere dimostrare la sua innocenza a denti stretti rinunciando persino inizialmente a farsi difendere da un avvocato.
Come si diceva, lo abbiamo incontrato qualche sera addietro mentre stava per partire alla volta di Vittoria, dove era atteso da alcuni suoi parenti. Nonostante fossero trascorsi tanti anni, l’impressione che mi ha fatto era la stessa di allora. Deciso, sicuro di sé, forse un po’ arrabbiato con chi gli ha procurato quelle che lui chiama ingiustizie e persecuzioni che lo hanno condotto di filato in carcere, ma ormai sereno per essere stato riconosciuto innocente e quindi assolto dall’accusa di omicidio.
– Dott. Rapotez, adesso è libero, forse un po’ provato ma soddisfatto per l’esito giudiziario.
"Sono uscito dicendo sempre la verità. Poi vi sono i riscontri ed una logica da seguire nel processo e la logica nei processi giusti è quella di proseguire dicendo sempre la strada della Quella del carcere è stata un’esperienza dura specialmente perchè sono stato nel carcere più duro d’Italia, l’Ucciardone a Palermo e successivamente a Messina. Il carcere è una delle case dei poveri. Si tenta di raggiungere la sicurezza sociale mettendo con entrate ed uscite frequenti dal carcere i poveri ossia le aree di disagio che hanno delle vlte la necessità di sopravvivenza nelle gradi città, come Palermo, Catania. In realtà la sicurezza sociale si raggiunge con la giustizia sociale. Bisognerebbe dare delle occasioni di pari opportunità anche a quelli che sono figli della nostra repubblica che sono i figli dei poveri. In realtà si ha la tendenza più a punire, a sanzionare senza dare nessuna possibilità o alternativa di recupero. In realtà la dottrina nostra dice che bisognerebbe tentare il recupero di questa gente che soffre, ma in realtà si tratta di un ologramma, un’utopia. Un sogno che si può realizzare purchè ci sia volontà politica, ma volontà politica non ce n’è. Si pensa più alla repressione che al recupero".
– Il carcere allora reprime e non redime.
"Non solo reprime, ma è anche una buona scuola di crimine. Se dovessi diventare un criminale per davvero, potrei fare tesoro delle lezioni di criminologia applicata ricevute proprio dentro il carcere. Solo rarissimi casi si registrano e soltanto pochi soggetti si redimono, ma sono soltanto quelli che hanno naturalmente una predisposizione. Così com’è, è solo un carcere repressivo che non dà alcuna alternativa se non quella di rientrarci al più presto possibile. E poi c’è il famoso precedente penale che pesa anche nella ricerca del luogo e del posto di lavoro".
– Ci sono momenti di grande umanità vissuti in carcere che ha particolarmente a cuore e che le sono rimasti impressi nella memoria?
"Momenti di grande umanità li ho vissuti appena entrato in carcere, come sono stato accolto. Intanto tu arrivi depresso. Hai addosso una condanna e possibilmente ti hanno messo le manette. Trovi la gente in quel posto che ti conforta che ti sostiene. Loro capiscono subito se sei un innocente o sei colpevole. Lo intuiscono da alcune espressioni che ho imparato pure io. Di solito ti aiutano molto. Ti danno le sigarette, il pigiama, tutto ciò che tu non hai. Pensi che sono stato trasferito da Trieste in maglietta. Avevo un freddo terribile che mi aveva depresso terribilmente. Sono stato messo per sei ore dentro un canile – così chiamato all’Ucciardone – in attesa di essere immatricolato ed essere avviato alla sezione dove sono arrivato distrutto, ma soprattutto sconfortato perché ero stato condannato all’ergastolo, senza alcuna prospettiva".
– Come accolse quel verdetto? Come ricorda quel giorno terribile?
"Ho provato due sentimenti. Il primo sicuramente di rabbia perché ero sicuro di non avere ucciso nessuno e quindi mi sentivo innocente. Il secondo era un sentimento di pena per quei poveri magistrati".
– Perché pena?
"Perché mi sono accorto che erano radiocomandati. Credevo che vi fosse una certa autonomia ossia una certa indipendenza della magistratura".
– Il suo è stato un processo indiziario?
"Indiziario prima di tutto. Inoltre chi faceva da presidente era un ex pubblico ministero nominato presidente della Corte di Assise e poi tornato a fare il pubblico ministero. Quindi io probabilmente la prima condanna non l’ho presa in nome del popolo italiano ma in nome del pubblico ministero, che era molto incline all’accusa. Mi sono accorto subito all’inizio del processo che c’era qualcosa che non andava. Io sono stato portato davanti all’accusa con una relazione di polizia. Si diceva che la nave non era arrivata perché lo Scerra ancorava il suo ricordo all’arrivo della nave. Qui siamo a livello di labilità. Lui è stato dichiarato come teste falso, ma in appello risultò aver detto la verità. Il giudice chiuse il dibattimento senza alcuna mia possibilità di controllo e non potevo più contestare nulla".
– Ce l’ha con i magistrati? Ci racconti come è stato assolto.
"No per carità. Meno male che abbiamo anche dei magistrati molto seri. Io sono stato assolto a Catania in sede di rinvio, cioè in sede di annullamento della sentenza di appello, dove il Procuratore generale in una sola udienza ha detto: “Io cerco colpevoli. Rapotez non può avere ucciso quest’uomo. Perché? Perché il morto era stato visto vivo dopo morto. Il movente è falso. Condannarlo è un ingiustizia. Qui come procuratore devo chiedere scusa al cittadino Rapotez perché è stato un imprenditore molto serio, è stato un buon ufficiale di Marina e quindi lo dobbiamo mandare a casa”".
– Come ha accolto quella decisione del procuratore che lo mandava assolto?
"Ho detto che c’è ancora una speranza in Italia nel settore della giustizia e nella polizia. Perché noi abbiamo dei poliziotti corrotti, ma ci sono anche dei poliziotti, dei carabinieri, dei finanzieri che sono come Salvo D’Acquisto. Fanno il loro dovere in maniera distaccata , dicono quello che è vero. In realtà nel mio processo ho incontrato dei poliziotti che hanno fatto dei rapporti onesti, che io ho valorizzato. E se sono uscito è accaduto per merito di magistrati onesti e di poliziotti onesti".
– Appena assolto è stato subito reintegrato nella Marina?
"Non subito, ancora sono provvisorio, richiamato temporaneamente".
– Dottor Rapotez, di recente lei è stato protagonista di un tentativo di rapimento di una donna?
"Si sono stato arrestato dalla polizia. Questa ragazza è stata probabilmente imbeccata. E’ una persona che sta male che io conosco per una relazione sentimentale intercorsa. Appena ho voluto troncare questa relazione anche perché mi accorgevo che c’era qualcosa che non andava nel suo carattere, ha presentato una denuncia sicuramente ben manovrata. Ho chiesto comunque l’incidente probatorio per uscire presto da questa situazione".
– Che ne è del suo mestiere di chimico?
"Studio ancora. Penso che riaprirò l’attività a Gela, come una volta. Poi ho una grossa azienda agricola che mi impegna moltissimo che produce fichi d’india. Il futuro mi sta molto più a cuore del passato. Non parlo volentieri di questo. Non voglio usare la ritorsione nei riguardi di chi mi ha accusato e lo detto anche pubblicamente sui giornali".
– Mi conferma che nei primi mesi del prossimo anno la sua vicenda approderà in televisione su Raidue?
"Sono stato invitato per parlare proprio dell’argomento di cui stiamo parlando adesso. Delle ingiustizie che vi sono nel carcere e nel settore della giustizia che è tutta da rivedere e non tutta da scartare".
Autore : Nello Lombardo
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