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Corriere di Gela | Sentenze e governabilità
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notizia del 07/11/2010 messa in rete alle 15:17:48
Sentenze e governabilità

Con la pubblicazione della motivazione della decisione del Tar di assegnare il premio di maggioranza al sindaco Fasulo, rettificando la decisione presa della commissione elettorale all'atto di proclamare gli eletti al consiglio comunale, si evince quanto da noi anticipato nello scorso numero: la ratio della norma di cui al comma 6 dell'art. 4 della Legge regionale n. 35 del 1997 è la «governabilità», assegnando una maggioranza “precostituita” del 60% al sindaco eletto dai cittadini a meno che, sempre quest'ultimi - cioè gli elettori sovrani e non l'applicazione un ulteriore artifizio tecnico quale la soglia di sbarramento - avessero già deciso alle urne nel primo turno di assegnare una maggioranza diversa rappresentata da una percentuale superiore al 50% eventualmente conseguita dalla lista o dal gruppo di liste che sostenevano una candidatura alternativa a primo cittadino rispetto a quella poi risultata vincente. La commissione elettorale ha applicato da subito la soglia di sbarramento del 5% prevista dal comma 3bis (introdotto dall'art. 15 della Legge Regionale n. 22 del 2008) nel calcolare i voti validi (di cui invece al già citato comma 6) ai fini dell'assegnazione del premio di maggioranza (anziché solo ai fini del riparto dei seggi a cui si riferisce il comma 3bis).

Lo stesso Tar nello stilare la motivazione sembra fare un po' confusione, asserendo che doveva essere computato il totale dei voti di tutte le liste e non solo di quelle che avevano superato lo sbarramento. Se fosse così, il totale dei voti validi sarebbe 42.936. Invero, ci sarebbero da aggiungere un migliaio di preferenze validamente espresse ai singoli candidati a sindaco e non anche alle liste. Infatti, il Tar ha giustamente considerato validi anche questi, pur non menzionandoli, tant'è che parla di un totale di 43971 voti, sulla base del quale il gruppo di liste a sostegno del candidato Speziale, poi battutto al ballottaggio, non ha oltrepassato il 50% dei voti (raggiungendo il 46,42% dei voti) e quindi è venuta meno l'unica eccezione prevista all'assegnazione del premio di maggioranza al sindaco eletto.

Questo totale di 43.971 voti, a scanso di equivoci, è dato computando i voti a tutte le liste e quelli anche ai singoli candidati a sindaco, così come ha già chiarito il 23 settembre del 2008 il Consiglio di Giustizia Amministrativa (vedi Cga n. 781/08: eventuali ricorrenti sono avvertiti) e come del resto vuole la logica della scheda unica con possibilità di voto disgiunto. La soglia di sbarramento postula, di fatto, una differenza tra voto efficace (cioè utile) e non efficace (non utile), ma è lungi dal definire ermeneuticamente una discriminazione tra voto validamente espresso e non, anche perché sottintenderebbe una consapevolezza che l'elettore in procinto di esprimere la propria preferenza alle urne non può francamente vantare, finendo pertanto col tradirne le intenzioni, comunque.

Tale presupposizione potrebbe avere ragione d'esistere in una ipotesi di doppia scheda, in cui l'elettore è messo in condizione di “bruciare” o meno, con cognizione di causa, la scelta del candidato al consiglio comunale ed alla lista d'appartenenza che “rischia” magari di non raggiungere il 5%, rendendo così plausibile applicare lo sbarramento; mentre al contempo può altrettanto coscientemente “pesare” meglio (ed indipendentemente dal primo ragionamento) la credibilità di questo o quel candidato alla carica di sindaco, partecipando in ogni caso al calcolo dei voti validi per l'eventuale assegnazione del premio di maggioranza. E' auspicabile intervenire legislativamente per una soluzione che propenda verso la doppia scheda, in cui eliminando il voto disgiunto e computando solo i voti espressi ai singoli candidati a sindaco nella scheda apposita, il premio di maggioranza verrebbe sempre e comunque assegnato al sindaco poi eletto. Così facendo si placherebbe definitivamente la tendenza a dimenticare che ad essere “premiato” è il sindaco che riceve un'investitura diretta da parte del corpo elettorale, benché ad usufruirne in concreto sono poi quelle liste e quei candidati al consiglio comunale che lo hanno sostenuto e che, del resto, anche loro sono stati votati dai cittadini.

Insomma, il voto al sindaco ed il voto ai consiglieri comunali andrebbe distinto. Da un lato si potenzierebbe, avvalorandola maggiormente, la scelta di un candidato che verrà legittimato a governare per 5 anni, con tanto di potere di nomina e revoca della giunta assessoriale; dall'altro si scoraggia l'avvalersi di liste improvvisate che non contribuirebbero più all'assegnazione del premio di maggioranza, garantendo comunque all'esecutivo un 60% consiliare reso più coeso e meno frazionato (mortificando tentativi a costruire cartelli elettorali) dalla soglia di sbarramento. Solo così si evita che liste minoritarie condizionino non tanto il voto, quanto la governabilità dell'ente locale considerato.

Ma la tesi della governabilità imporrebbe che un sindaco possa godere di una maggioranza vera e non lesta a “barattare” lo strumento finanziario. Per dirla tutta, un costruttivo rapporto con i partiti che ne hanno sostenuto l'elezione dipende più dalla “sensibilità” politica del sindaco che dal quadro normativo. La stessa possibilità di sfiduciare il primo cittadino se ad approvare la mozione è il 65% dei rappresentanti nel civico consesso (nel caso di Gela, 20 su 30 consiglieri), ha più il sapore di un «impeachment» che di una vera e propria mozione di sfiducia. Con l'elezione del sindaco da parte dei suoi concittadini, la governabilità non è più un affare esclusivo dei partiti che lo eleggevano. E se l'obiettivo è privilegiare la rappresentatività politica dei due organi elettivi, così come al consiglio abbiamo fornito lo strumento della mozione di sfiducia, dovremmo parimenti dotare il Sindaco della facoltà a porre la “questione di fiducia”, in entrambi in casi con la maggioranza assoluta (16 consiglieri) e non più qualificata (20 consiglieri). Sicché, giusto in tema di bilancio, o si approva o tutti a casa: vuoi vedere che si riscoprirebbe il valore della governabilità e ci sarebbero molti meno commissari ad acta in giro?

Di fatto, il consiglio comunale non ha tutto questo gran controllo sull'attività del sindaco e della sua amministrazione. E' pacifico. L'attuale esperienza di un sindaco come Cammarata nel comune politicamente più importante dell'isola, qual è il capoluogo Palermo, conferma che si può governare senza maggioranza e financo contro, tranne quando c'è da approvare il bilancio allorché diventa impellente ricercarsi una maggioranza che può benissimo non coincidere con quella consegnata dalle consultazioni elettorali (leggasi “geometrie variabili”). La casistica e i tanti comuni commissariati perché manca lo strumento finanziario, ci ricordano che ricostruire una maggioranza ad hoc in corso d'opera non sempre è agevole. Anzi, tutt'altro. Le stesse commissioni consiliari d'indagine lavoreranno pure ma con poco presa ed influenza rispetto all'attività dell'esecutivo e per quanto concerne il «question-time» introdotto anche a livello locale, il minimo che si può fare è stendere un velo pietoso. Nell'attuale forma di governo locale, con una classe politica che non riesce ad uscire dall'empasse del “reciproco scambio” (sovente «bipartisan»: leggasi di nuovo “geometrie variabili”), il civico consesso finisce col ridursi ad un agorà: uno spazio istituzionale di dibattito politico che senza la veste istituzionale è assimilabile alla stregua di un qualsiasi talk-show, magari locale e del venerdì. Il gratuito trambusto e la palese enfasi, a dir poco sensazionalistica ed assolutamente immotivata, che hanno accompagnato l'elezione del presidente del consiglio e delle commissioni consiliari, lo testimoniano manifestamente. E' in altre stanze, anche senza bottoni, dove si continua a decidere tutto.


Autore : Filippo Guzzardi

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