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notizia del 11/04/2009 messa in rete alle 15:11:13
Vertenza al Petrolchimico Eni su occupazione e sicurezza
La questione operaia, a causa del collasso economico globale, sembra rinata, accompagnata da conseguenze sempre più difficili da decifrare appieno.
In Francia e Germania lavoratori privati del posto di lavoro decidono di attuare trattative serrate con le controparti padronali, in assenza di qualsiasi mediazione sindacale (molti commentatori le hanno definite “sequestri”); in Grecia e Gran Bretagna si consolidano nuove forme di conflitto sociale, prive dei tradizionali punti cardinali.Gela, come del resto altre realtà industriali meridionali, non è affatto immune da una patologia che, in assenza di idonee cure, potrebbe diffondersi, causando la violenta interruzione di un “processo vitale” già molto flebile. Non a caso la delegazione gelese presente alla manifestazione nazionale indetta dalla Cgil, svoltasi sabato 4 Aprile lungo le vie principali della capitale, si componeva di un numero elevato di lavoratori, appartenenti a diverse categorie occupazionali (dagli operai dello stabilimento petrolchimico ai dipendenti pubblici), capaci di riempire ben cinque pullman.
Il segretario locale della Fiom-Cgil, Orazio Gauci, ha ritenuto opportuno tracciare una linea di assoluta continuità tra i temi alla base della piattaforma rivendicativa nazionale e quelli che più preoccupano il sindacato nella dimensione locale: rapido rafforzamento dei meccanismi di espulsione dal mercato del lavoro; bisogno di sicurezza presso ogni singolo luogo di lavoro; sostegno ai lavoratori in difficoltà; maggiori interventi pubblici, non destinati al sostentamento di entità economico-finanziare, bensì a quello dei ceti medio-bassi; demolizione dei paradigmi della precarietà predominanti nell'odierno mercato del lavoro.
All'interno di un più ampio contesto (globale ma anche nazionale) l'esperienza gelese occupa un posto di sicuro rilievo, dovuto al simbiotico legame intercorrente tra equilibrio economico cittadino e andamento industriale (ossia Eni e suo indotto). Il declino, perlomeno occupazionale, dello stabilimento gelese non è oramai una novità (il processo si è radicalizzato da più di un decennio): purtroppo, però, i pochi “superstiti”, soprattutto nel variegato scenario dell'indotto, sono costretti ad agire in condizioni di scarsa sicurezza; la morte dell'operaio licatese, Salvatore Vittorioso, risale al Gennaio scorso, da allora, però, nulla sembra essere drasticamente mutato (a tal fine Cgil, Cisl, Uil, hanno già scioperato per otto ore, lunedì 7, e per altre due, martedì 8).
Solo nell'ultima settimana due gravi incidenti (agli impianti Motor Fuel e Coking 1), fortunatamente esenti da conseguenze drammatiche, hanno costretto due lavoratori a ricorrere alle cure ospedaliere: il punto di non ritorno è oramai superato, solo un oculato intervento economico a sostegno della piena garanzia per l'incolumità dei dipendenti e dell'efficienza degli impianti potrà esorcizzare l'incubo del progressivo smantellamento dell'industria pesante gelese.
La piena occupazione delle maestranze locali, come denunciato dal segretario Fiom, Orazio Gauci, va ad aggiungersi agli spettri dell' “epico” passato matteottiano: la recente fermata degli impianti, finalizzata alla loro manutenzione, attesa trepidamente, poiché ritenuta fautrice di maggiore occupazione (anche se solo temporanea), non si è neanche protratta per il termine concordato di 60 giorni, riducendosi alla metà, costringendo all'immediata smobilitazione duecento contrattisti (in larga parte giovani). Neanche le aziende locali, del resto, riescono ad ottenere trattamenti particolareggiati; la gran parte degli impianti installati all'interno del petrolchimico gelese (costituente almeno il 20% dell'intera mole produttiva) viene prodotta fuori sede, inducendo le imprese del posto ad attività di mero assemblaggio. Le stesse commesse rischiano di assurgere a veri e propri miraggi per i soggetti economici cittadini: caso emblematico, citato più volte da svariate fonti sindacali, è quello rappresentato dall'affidamento, deciso dall'Eni, di talune commesse a ditte con sede sociale ubicata in altre regioni d'Italia (un caso per tutti, quello della società Berardinelli di Campobasso).
Lo scenario sindacale locale ha assunto, per simili ragioni, sfumature sempre più cupe, quasi a voler descrivere fedelmente lo stato d'animo dei lavoratori, stanchi di dover quotidianamente ingaggiare una sfida con la sorte.
Intanto i 500 milioni di euro destinati, secondo l'accordo raggiunto da Eni e parti sociali il 17 gennaio 2008, alla ristrutturazione di molti impianti obsoleti, necessaria al miglioramento delle condizioni di sicurezza dei lavoratori, giacciono in uno stato di evidente paralisi, indotto da continui scambi di responsabilità: i vertici aziendali si scagliano, infatti, contro la lentezza della burocrazia regionale; le istituzioni locali, viceversa, accusano la multinazionale di voler attuare una sorta di pratica doppiogiochista, imperniata su di una falsa volontà di accelerazione dei tempi necessari al rilascio delle opportune autorizzazioni regionali, atta, però, a coprire l'effettiva intenzione di rinunciare ad ogni tipo d'intervento. Il confronto di mercoledì tra sindacati e dirigenza aziendale si rivelerà decisivo oppure si concluderà nell'ennesimo nulla di fatto, fonte di effetti drammatici per tutti i lavoratori interessati?
Autore : Rosario Cauchi
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