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notizia del 18/03/2007 messa in rete alle 15:00:59
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Giornalismo, mestiere difficile e affascinante
Fare giornalismo. Sembra che queste due parole siano pervase da innumerevoli punti di domanda ogni volta che vengono pronunciate: si sente di continuo dire che il futuro della professione sia incerto e ciò non fa altro che scoraggiare le aspettative di quei giovani che studiano per diventare un giorno i narratori del quotidiano, ma si trovano spiazzati e sconfortati. Per nostra fortuna, alla fine si tratta solo di luoghi comuni e in realtà nulla di tragico c’è all’orizzonte. Così, per dare una testimonianza incoraggiante di quanto sia duro ma appagante questo mestiere, abbiamo intervistato don Giuseppe Costa (nella foto con Alessandra Cascino), gelese, docente presso l'Università Pontificia Salesiana.
– Avendo la possibilità di insegnare a Roma e a Catania, quali differenze coglie fra queste due realtà?
«Realtà diverse e tutte e due ricche per vari motivi. Quella di Roma ha una prospettiva internazionale specificamente pontificia, che dà nell’insieme una prospettiva universale. Quella di Catania, ha un contesto più specifico, nel campo delle Lingue e Letterature moderne, con giovani fortemente motivati. Sicuramente due realtà stimolanti ma diverse».
– Per ciò che riguarda il giornalismo, che differenze nota fra i giovani delle due università?
«A Roma credo ci sia una buona formazione adatta ad entrare nel sistema mediatico italiano. L'impostazione privilegia teoria e pratica e dà una formazione utile all'inserimento nella professione. A Catania il discorso e diverso. Non c è una formazione orientata solo sul giornalismo, si tratta più di informazione internazionale e cultura internazionale non finalizzata al lavoro di giornalista tout-court».
– Che consigli può dare ad un giovane che volesse intraprendere la professione di giornalista, o, più in generale, di comunicatore?
«Dico che bisogna buttarsi nella pratica, cominciando dai giornali di quartiere, da quelli locali e scolastici. Non bisogna pensare alla televisione, bisogna staccarsi da questa prospettiva e innanzi tutto imparare a scrivere, il resto verrà da se».
– Lei collabora da diverso tempo con “L'osservatore romano”, cosa ci può dire di questa esperienza?
«La mia collaborazione al giornale del Vaticano è pluridecennale. Scrivo nella terza pagina, che si occupa di arte e cultura. Una pagina attenta ad alcuni aspetti della cultura contemporanea, la cui lettura farebbe bene anche a qualche laico».
– Che tipo di arricchimento professionale ha avuto dalla sua esperienza vissuta negli Usa?
«Sono stato negli Stati Uniti dal 1991 al 1994, alla “Marquette University di Milwaky”. Ho conseguito lì un master BA in Giornalismo. E’ stata un’esperienza molto interessante poiché le università americane sono strettamente connesse all’industria mediatica. In questo modo i ragazzi hanno la possibilità di conoscere da vicino il sistema dei media iniziando sin da subito a lavorare. Consiglio vivamente quest’esperienza ai giovani, poiché considero il giornalismo americano il sistema mediatico per eccellenza».
– A che età la scoperta della vocazione e come mai la scelta dell’Ordine salesiano?
«Sin da ragazzino ho dimostrato la mia propensione per la Chiesa. Frequentando l’oratorio ho deciso di scegliere quest’Ordine, che mi ha colpito per diversi aspetti; col tempo, alla vocazione salesiana si sono sostituite motivazioni più serie».
– Ha diverse pubblicazioni alle spalle, fra le quali due testi su Salvatore Aldisio. Ce ne vuole parlare?
«Le mie pubblicazioni sono per lo più a carattere giornalistico e religioso. Per ciò che riguarda i testi su Aldisio – un primo volume di scritti e discorsi e uno di un convegno su Aldisio pubblicato insieme a Monsignor Cataldo Naro – la scelta del personaggio deriva dall’oggetto della mia tesi di laurea in Lettere moderne; tesi che poi ho tralasciato per fare altro, ma di cui avevo una vastissima raccolta di materiale che ho poi pubblicato».
– Ci parli un po' della sua Gela, dove sappiamo si reca spesso per ragioni prevalentemente affettive; cosa non va, secondo lei, nella società gelese e cosa coglie di positivo? Più cittadino romano o gelese?
«Mi reco a Gela perché ho ancora i miei parenti ed anche per frequentare i salesiani. Non mi sento né romano né gelese, perché credo che la realtà d’origine non si abbandona mai. Per ciò che riguarda la società della Gela che conosco io, non c’è nulla di cui vergognarsi. Anzi!».
– Tra qualche mese, i gelesi andranno a votare il loro governo per i prossimi cinque anni. Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che dovrebbe avere un sindaco per poter amministrare bene una città come Gela, con i problemi che lei conosce? Ce ne faccia un identikit.
«Non sono assolutamente nelle posizioni di tracciare un identikit. Quello che posso dire è che la città ha bisogno di concretezza e di valori. Ci vuole qualcuno che si occupi delle cose veramente importanti per la città e che abbia dei valori, per evitare nuove illusioni e fughe».
Autore : Alessandra Cascino
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