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Corriere di Gela | Psicosi bipolare
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notizia del 31/03/2012 messa in rete alle 14:59:59

Psicosi bipolare

Dietro la porta dell’ingresso trovai i vigili urbani e la polizia che cercavano da qualche ora di farsi aprire. Rita continuava a tenere lo stereo a tutto volume, ed a scaraventare ogni cosa fuori dal balcone, giù sui passanti. Gridava nella notte e non apriva. Le dissi: o apri o sfondiamo la porta. E lei aprì la porta. Poi la legammo mani e piedi e la ricoverai in T.S.O. con la diagnosi di psicosi acuta dissociativa. In realtà Rita era una bipolare, in terapia sin da adolescente, già il corpo coperto di peli, ipertricosi, uno degli effetti collaterali della enorme quantità di psicofarmaci che aveva assunto sino ad allora, e che la costringevano ad indossare vestiti lunghi fino ai piedi, e sempre con le maniche lunghe, per non fare vedere i peli neri.

Rita era bruttissima, ma riuscì a farsi un varco nel mio cuore distratto, oltre che ad attrarre la mia attenzione professionale. Nel momento della massima compensazione clinica la invitai a raccontare la sua storia in una tv locale, e lei senza nemmeno volersi coprire il volto raccontò dei tanti elettroshock subiti, a più riprese presso una casa di cura. Prima perdette il papà, poi la mamma e poi l’unico fratello, e cosi infine rimase sola a casa, e non teneva nemmeno animali, per farsi compagnia. Nessuno la andava a visitare, io in una certa fase della relazione terapeutica che durò oltre 10 anni, passavo la mattina da casa sua per fare insieme la colazione, lei mi faceva trovare il Corriere della Sera sul tavolo. Cosi per qualche tempo iniziavamo le nostre giornate. Cominciò a dipingere, e mi regalò diversi quadri, mi veniva a trovare in ospedale inizialmente, ma quando capì che la cosa poteva essere mal interpretata non venne più. Riordinò la casa, come estrinsecazione del suo nuovo ordine mentale, e cercò di vestire in maniera più composta. Si depilò con l’aiuto dei mie infermieri, e mi portò al cimitero, prima a vedere la sua famiglia,e poi in giro per le strade, trionfante, dicendo a tutti che ero il suo psichiatra. Andò incontro a molti scompensi maniacali e ogni volta la dovetti ricoverare, ma dopo ogni scompenso si riprendeva e raggiungeva un nuovo equilibrio.

Partecipò alle feste che il C.S.M. organizzava per i nostri pazienti, e la vidi ridere ed essere felice. Una sera di dicembre mi fece notare una infiammazione al piede sinistro, che fu curato dal suo medico di famiglia come flebite. Ma la flebite non passava, e lei cominciò a stare male, e poi era più debole e dovetti ricoverarla nel reparto di medicina per accertamenti, e poiché non riuscivano a fare nessuna diagnosi fu trasferita in una grande città. La diagnosi fu tremenda: malattia autoimmunitaria che le tolse ogni forza , sentiva la morte addosso , e sempre più debole rimase ricoverata sino al decesso , all’inizio dell’estate. Una chiesa vuota, senza amici nè parenti, solo qualche operatore accompagnò Rita alla sua ultima dimora.


Autore : Francesco Lauria - medico chirurgo,specialista in Psichiatria

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