|
notizia del 05/09/2009 messa in rete alle 14:32:28
Superenalotto e minacce
La vincita di una qualsiasi somma di denaro non può che cagionare reazioni viscerali, spesso estranee ai tradizionali canoni comportamentali: stato emozionale accentuato, se possibile, quando la posta in palio si situa intorno alla soglia dei 147.000.000,00 di euro.Proprio questo si è di recente verificato presso un borgo toscano, Bagnone, individuato dal fato, tra una molteplicità di località italiane, grandi o meno, al fine di assurgere alle cronache nazionali ed estere quale luogo di origine di un neo milionario. Ma, quasi contestualmente alla notizia della vincita, ha iniziato a diffondersi una preoccupante insinuazione: i titolari della ricevitoria, scenario del fatidico acquisto, ritenuti i veri autori del “colpo grosso”, avrebbero, praticamente dal giorno successivo, iniziato a ricevere telefonate minatorie, inoltrate perseguendo un esclusivo obiettivo, ovvero quello di costringerli a versare in favore di organizzazioni malavitose (si è fatto riferimento soprattutto alla mafia siciliana) una parte del cospicuo premio.
Non ci sarebbe, del resto, nulla da meravigliarsi; quando i gruppi criminali riescono a fiutare un affare economico, difficilmente desistono senza aver conseguito il proprio scopo. A sostegno di una tale ricostruzione può citarsi una vicenda, sfociata nell'avvio di un procedimento giudiziario, connotata dal veemente protagonismo della criminalità organizzata gelese. Salvatore Spampinato è un classico emigrante meridionale, con origini gelesi, residente a Lodi, comune della benestante provincia lombarda, il cui destino fu inevitabilmente mutato, ormai undici anni addietro, nel 1998, dalla conquista di un montepremi, legato al concorso del Superenalotto, ammontante a sette miliardi delle vecchie lire: un sogno, dunque, convertitosi, inaspettatamente, in realtà; facile definizione, non riscontrabile, però, nella quotidianità di quest'uomo.La ragione di una simile inquietudine, a fronte di una sicurezza economica praticamente certa, si deve rintracciare nella capillare presenza, risalente ai primi anni ottanta, delle cosche gelesi, sia facenti capo a cosa nostra che alla stidda, entro i confini del territorio lombardo; le notizie, soprattutto di simile portata, infatti, circolano facilmente, e non sfuggono alle orecchie di coloro i quali intendano assumere il controllo di un ennesimo insediamento, con l'intento di trasformarlo in un personale dominio.
Salvatore Spampinato, così, abbandona la condizione di fortunato destinatario di un'ingente ricchezza, indisponibile ai più, per assumere quella di vittima di pretese estorsive promananti dai leaders della stidda gelese, Carmelo Fiorisi, Francesco Morteo ed Enrico Maganuco, capaci di pretendere dallo stesso una percentuale della cospicua somma di denaro, calcolata in un miliardo di lire.
La pressione criminale si rivelò talmente rigida da cagionargli l'incendio dell'abitazione: classica goccia che fece traboccare il vaso, come tradizionalmente suole dirsi, tanto da indurlo, rivangando pregresse conoscenze all'interno della dimensione malavitosa gelese, a rivolgersi ad un esponente locale di cosa nostra, Rosario Trubia, oggi prolifico collaboratore di giustizia. Il “desiderio” espresso dalla vittima di molteplici vessazioni era semplice: renderlo finalmente libero dalla trappola costruitagli intorno dai vertici della stidda. L'armistizio stipulato, proprio in quel periodo, tra le due storiche avversarie favorì una sorta di “strategia della distensione”, anche con riguardo al “problema” estrinsecato da Salvatore Spampinato; il confidente della vittima, infatti, non impiegò molto tempo a rintracciare i pretendenti al miliardo di lire, ovvero Fiorisi, Morteo e Maganuco, proponendogli un'adeguata conclusione della “pratica”.
Approfittando di talune errate informazioni in possesso delle controparti, inerenti l'ammontare complessivo della vincita, comunicò loro la disponibilità della vittima all'immediata elargizione di trecento milioni, proposta accolta, anche se non esattamente di buon grado, dai richiedenti; nonostante ciò Trubia, divenuto vero mediatore nell'illecita transazione, dichiarò innanzi a Salvatore Spampinato di aver chiuso la stessa per una cifra di quattrocento milioni, con una differenza, quindi, sul vero importo pattuito, di cento milioni, destinati, invece, a rinsaldare il forziere di cosa nostra gelese, in particolare quello detenuto dalla famiglia degli Emmanuello.Proprio a causa di simili precedenti la totale omissione di controlli più approfonditi inerenti indicazioni, in ogni caso giunte anche agli organi di stampa, potrebbe assumere risvolti negativi.
Autore : Rosario Cauchi
» Altri articoli di Rosario Cauchi
|
|
|
In Edicola |
|
Cerca |
Cerca le notizie nel nostro archivio. |
|
|
|
|