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notizia del 30/06/2013 messa in rete alle 14:23:56
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Alessandro Giudice, ambasciatore gelese nel mondo
Amministratore delegato della storica azienda di pelletteria fiorentina Nannini spa, Alessandro Francesco Giudice, 43 anni, è uno dei tanti gelesi oggi sparsi nel mondo che con onestà, impegno e dedizione lavorano mettendo a disposizione le loro capacità nelle città di adozione, ma mantenendo sempre un legame affettivo con la città di origine. Culla di grandi civiltà, terra dalla storia millenaria, Gela si conferma madre di figli talentuosi.
Molti la lasciano, altri restano, ma tutti vi fanno ritorno perché, nonostante difficoltà e gravi carenze non manchino, Gela resta nel cuore di chi la vive e l’ha vissuta e di chi, come Giudice, spera di ritrovare, dopo tanti anni, una città migliore di quella lasciata, una città che possa vantare finalmente il suo riscatto.
Un curriculum ricco di collaborazioni e incarichi prestigiosi, quello di Alessandro Giudice. Giovanissimo, ancora studente allo scientifico Vittorini, inizia a collaborare con il Corriere di Gela, firmando articoli, servizi e sondaggi di rilievo.
Laureatosi in Economia aziendale all’Università Bocconi di Milano nel 1991 con 110 e lode, inizia la carriera con uno stage annuale all’Olivetti di Ivrea in tesoreria internazionale. Nel 1992 si trasferisce a Lussemburgo dove inizia a operare nel mercato internazionale dei capitali come Eurolira trader presso l’Imi Lussemburgo. Nel 1994 si trasferisce a Londra dove svolge attività di corporate bond trading presso diverse banche d’investimento internazionali quali Hong Kong and Shanghai banking corporation, Lehman brothers, Morgan Stanley e Chase Manhattan Bank. Nel 2000 rientra in Italia, divenendo il più giovane dirigente del Gruppo Monte dei Paschi di Siena e partecipando al progetto di creazione di Mps Finance, all’interno della quale ha avuto la responsabilità del trading di strumenti creditizi e di credito strutturato. L’attività del suo team si caratterizza negli anni per una spiccata tendenza all’innovazione finanziaria ed in particolare al lancio di strumenti di trading fortemente innovativi, rivolti sempre a controparti istituzionali.
Nel 2007 lascia i mercati finanziari per assumere nel Gruppo Monte dei Paschi la responsabilità del servizio di Diagnostica corporate, piani industriali e ristrutturazioni aziendali per le medie imprese. Alla guida del team di diagnostica cura numerosi progetti aziendali in tutta Italia. Nel 2008 guida l’operazione di acquisizione di Mabro, marchio storico del made in Italy sartoriale maschile, da parte di Antichi Telai. Per Mabro scrive il piano industriale e cura l’allestimento degli affidamenti creditizi e la composizione del capitale. Nello stesso anno viene nominato direttore generale dell’azienda e consigliere di amministrazione della società. Nel 2010 lascia Mabro e dall’aprile 2011 è amministratore delegato della Nannini Spa. Alessandro Giudice è autore di numerosi articoli sull’inserto settimanale Affari e Finanza del quotidiano La Repubblica, e di due volumi, Operare con gli Eurobonds, edito dalla Etas libri nel 1993, e Il volo dei calabroni - Come le PMI italiane vincono la legge di gravità (vedi recensione a fia.
Relatore in numerosi convegni, Giudice ha inoltre conseguito il titolo di Dottore commercialista e revisore ufficiale dei conti ed è iscritto all’albo dei commercialisti ed esperti contabili di Siena.
Lo abbbiamo contattato per farci raccontare di sé, delle sue scelte e del suo legame con Gela.
– Lei vive lontano da Gela da molto tempo. C’è qualcosa o qualcuno che la lega ancora a questa terra?
«I miei genitori, gli amici naturalmente. Ma mi lega soprattutto un bagaglio di ricordi che mi porto dietro. Gela è il posto dove sono cresciuto: i colori, i sapori, i suoni, la luce. Le estati assolate, il mare. Come si fa a non restare legati?».
– Gela ha un patrimonio paesaggistico e archeologico invidiabile. Purtroppo, per motivi di lavoro e mancanza di prospettive, tanti sono costretti ad andare via. E’ stato così anche per lei?
«Nel mio caso non parlerei di costrizione, è stata una libera scelta, che certamente non rimpiango, perché mi ha dato la possibilità di fare tante cose che non avrei potuto fare, di vivere tante esperienze, vedere tanti posti ed entrare in contatto con culture molto diverse. Avevo 17 anni, volevo crescere e vedere il mondo. Gela era piccola».
– Distinguendosi nei più disparati campi, ha portato alto il nome di Gela nel mondo. Inizialmente, ha trovato difficoltà nell’inserirsi in realtà differenti dalla sua?
«Non ho avuto particolari difficoltà perché mi ritengo una persona curiosa, che affronta il nuovo con spirito di adattamento. All’inizio mancano le cose più banali, o le più tangibili, come il cibo o il clima. Ma sono cose che poi si assaporano meglio quando si torna».
– Lo scorso settembre lei è stato nominato ambasciatore di Gela durante la manifestazione organizzata dal Centro dell’amicizia Gelese nel mondo e dall’amministrazione comunale. Cosa ha provato nel trovarsi assieme a tanti altri suoi concittadini che per vari motivi hanno lasciato questa terra?
«Una bella iniziativa, di cui ho condiviso lo spirito, e di cui è giusto dare merito a chi l’ha organizzata. E’ fondamentale per una città che ha sperimentato importanti flussi migratori mantenere saldo il legame con chi vive e lavora lontano, mantenere vivo il senso di appartenenza. Ma io a Gela torno spesso. In estate non rinuncio al mio mare, e anche per i miei figli, che sono nati e cresciuti lontano, Manfria è il posto delle vacanze».
– Quanto è cambiata oggi ai suoi occhi Gela rispetto agli anni in cui l’ha lasciata?
«Non è cambiata molto, purtroppo, e non ingannino i cambiamenti esteriori. E’ il mondo, piuttosto, ad esser mutato in questi 25 anni in maniera epocale, e Gela tutto sommato è rimasta chiusa nel suo immobilismo. Mi aspettavo molto di più. Era una città con un grandissimo potenziale, con tanti giovani e, dove ci sono giovani, c’è energia e creatività. Ma non si è fatto molto. Soprattutto, si sono persi 25 anni in cui si sarebbe dovuto costruire un modello alternativo di sviluppo rispetto a quello disegnato (da altri) negli anni 60, e che già negli anni 80 mostrava tutte le sue crepe. Non si è fatto. Siamo ancora legati ad un’industria morta. Credo però che non ci si debba arrendere e che non vada mai persa la voglia di lottare e di migliorare».
– Da lontano sicuramente lei segue le dinamiche della nostra terra. Le è capitato di parlarne con i suoi colleghi di lavoro? Qual è l’opinione che fuori si ha di Gela, città che con fatica da anni cerca il suo riscatto?
«Gela non ha una grande fama. E’ conosciuta soprattutto per fatti negativi, ai quali la stampa ha dato negli anni, giustamente, un certo risalto. Oggi ha ancora un’immagine legata al degrado urbanistico, alla criminalità e all’inquinamento. Naturalmente chi, come me, ama questa città, si sforza di ricordare le cose belle che tuttavia ci sono, senza minimizzare o nascondere i problemi (perché non sarebbe credibile) ma cercando di dare visibilità ai lati positivi, che in genere fanno meno notizia. E’ una corsa in salita, perché il pregiudizio costruito negli anni (e fondato oggettivamente su situazioni reali) è molto resistente. Qualcuno mi dice di esserci passato andando ad Agrigento ma avendo “ammirato” il panorama della via Venezia ne è rimasto sconcertato».
– Giovanissimo, ha iniziato la sua collaborazione con il Corriere di Gela firmando, mi dicono, articoli e servizi molto apprezzati. Quanto le è stata utile quell’esperienza, e cosa ricorda in particolare di quegli anni?
«Ricordo che cominciò per caso. Andavo al liceo, avevo una passione per la comunicazione. In quegli anni c’era un grande dibattito su una centrale a carbone che l’Enel pensava di realizzare in città. C’erano ovviamente (e fortunatamente) grandi resistenze di chi aveva a cuore l’ambiente e la salute del territorio. Mi venne l’idea di fare un sondaggio (allora non erano dilaganti come ai giorni nostri) e ne parlai con il direttore Rocco Cerro, che raccolse la proposta con entusiasmo. Andai al Comune a estrarre un campione di cittadini gelesi dalle liste elettorali, poi il direttore mi mise a disposizione un telefono e cominciai a chiamare. Non esistevano i cellulari, bisognava chiamare le persone a casa (era anche più facile perché quasi tutti avevano il numero sull’elenco). Fu un’esperienza entusiasmante,che mi regalò uno spaccato di vita reale. La gente parlava volentieri al telefono, parlava anche di altro, dei problemi, della vita. Il risultato fu che la centrale non la voleva nessuno, e che il vago miraggio di qualche posto di lavoro non era sufficiente, già allora, a rassicurare sui rischi alla salute. Segno che già a quei tempi il modello economico era profondamente sbagliato, e che l’alterna-tiva lavoro-salute non era assolutamente proponibile».
– Quale consiglio vorrebbe dare come ambasciatore della gelesità all’amministrazione comunale per migliorare la qualità della vita nella nostra città?
«Promuovere il decoro pubblico, incoraggiare la cultura. Oggi c’è il vantaggio che i giovani hanno molti più contatti con l’esterno di quanto non accadesse ai miei tempi, sono più stimolati da esempi alternativi. Internet ha spalancato le finestre del mondo a tutti. I modelli culturali non devono più essere soltanto insegnati, ma possono anche essere assorbiti più facilmente. Il Comune deve dare anzitutto servizi ai cittadini ma, se vuole anche promuovere la crescita della città, deve stimolare la cultura e deve disegnare un modello di sviluppo alternativo a quello dell’ultimo mezzo secolo, che non è più sostenibile».
Autore : Alice Palumbo
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