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Corriere di Gela | Cittadini di Gela e non solo Gelesi
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notizia del 08/11/2009 messa in rete alle 14:15:32
Cittadini di Gela e non solo Gelesi

“Qualunquismo impegnato”. Così potrebbe definirsi il parere di molti commentatori della Gela odierna. Commentatori politici, cittadini in odore di ambizione politica, semplici abitanti della 6° città siciliana per demografia. Le lamentele, spesso motivate, denunziano le carenze più evidenti della nostra città: indisponibilità idrica, pulizia pubblica, mancanza di infrastrutture, servizi pubblici intempestivi o assenti, impatti ambientali, anche l’assenza di strutture ricreative a cominciare dai cinema. Un effluvio di lamentele che costituiscono spesso le istanze di neopolitici che aspirano a rappresentare il riscatto dell’ultim’ora.
Non che il fenomeno del qualunquismo sia solo gelese, ma col tempo stanca e soprattutto non produce cambiamento. Se non fosse che tale consuetudine sta diventando ormai una questione di stile cittadino, non meriterebbe nessuna riflessione. Il qualunquismo è infatti fisiologico se si mantiene in percentuali limitate. In realtà a Gela il “qualunquismo” assume la caratteristica di essere “impegnato” nel senso che viene fatto oggetto, quando esibito, di una prospettiva utile per “buttarsi in politica”.
Purtroppo gli esempi di lamentele gelesi sono spesso fondate ma hanno il limite di essere una constatazione di un effetto e pertanto non consentono, come tale, di produrre degli esiti. Perché il “qualunquismo impegnato” si traduca in una riflessione politica occorre che si tramuti in un’analisi. L’analisi per essere tale ha bisogno delle giuste domande a cui poi possono darsi varie risposte in funzione della propria visione della vita e della società.
Pertanto proviamo a porre alcune domande che avviano l’analisi del perché Gela soffre delle proprie limitazioni.
La vera domanda da porsi (tipica di ogni situazione amministrata) è: quali sono i poteri forti presenti in città? Scartiamo dall’analisi i poteri forti malavitosi perchè su questi i cittadini onesti hanno già scelto da che parte stare, concentriamoci sui poteri forti legali.
Chiaramente la raffineria dell’Eni rappresenta un fattore di influenza, di primo piano, dell’economia cittadina e sono noti gli impatti e le compatibilità o incompatibilità che ha innescato. Ma altri poteri rilevanti sono presenti: il potere dell’imprenditoria edile che, pur essendo basato su imprese locali, sta trasformando Gela più che in funzione dei bisogni, in funzione delle aspirazioni individuali dei cittadini, in termini abitativi, ove le abitazioni stanno superando le necessità dettate dalla demografia stessa. Il commercio, principalmente basato su una quantità di piccoli e medi esercizi commerciali spesso a conduzione familiare. Commercio che condivide un’idea di localismo territoriale che non ne consente l’espansione e l’evoluzione.
Altro potere, sembra strano a dirsi, è quello comunale e più in generale politico, ove l’accezione di potere è tale nel momento in cui delle prerogative istituzionali se ne può fare un uso strumentale o parzialmente strumentale. Anch’esso costituisce un potere forte se usato come tale.
Ecco, in questo ventaglio di poteri (a cui possono aggiungersi altri, forse riconducibili a qualche ordine professionale) si può rintracciare buona parte delle risposte sul perché Gela è quella che è. Gela è una città che crede di evolversi se gli attori sono i Gelesi e solo loro, ossia se nell’edilizia, nel commercio, nella metalmeccanica, nei servizi si applicano criteri protezionistici e perimetrativi. Un esempio banale e insopportabile è dato dall’evidente assenza di ipermercati presenti invece nei comuni limitrofi o di un cinema adeguato ai recenti criteri di oggi. Se si aspetta che l’imprenditoria locale sopperisca è praticamente una chimera.
Se Gela non si apre ad imprenditori esterni che competono anche sullo stesso territorio gelese, non potrà incamerare mai nuove prospettive di nuovi servizi ed opportunità. In questo l’istituzione comunale dovrebbe favorire un’attrazione di nuova imprenditoria, ovviamente vigilando sulla mantenibilità nel tempo dei business indotti e non pretendendo che l’autosufficienza economica cittadina dia risposte economiche che non può dare, né per mentalità né per disponibilità economica né per capacità organizzativa. Per questa paura di aprirsi Gela paga uno scotto, giustificandolo con l’obiettivo di non consentire che flussi economici vadano fuori da Gela. In realtà così facendo il danno è duplice: i cittadini ricercano i servizi in paesi limitrofi e l’economia locale non evolve. E il tutto si localizza e degenera. Ecco, con una battuta: “Cittadini di Gela” e non solo “Gelesi”, perché non dobbiamo rivendicare una natalità (ovvia) ma dei diritti che oggi, nelle città ben amministrate, sono cosa scontata.


Autore : Sebastiano Abbenante

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