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Corriere di Gela | Con la guerra sotto casa
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notizia del 03/04/2011 messa in rete alle 14:09:20
Con la guerra sotto casa

La Sicilia è terra di paradossi. E i paradossi si concretizzano nei momenti più inaspettati. Pensavamo e volevamo che il riscatto della Sicilia e di ogni città siciliana potesse giocarsi sull’idea che il baricentro dell’attenzione si spostasse nel sud dell’Italia, verso il nostro mediterraneo. Con una Sicilia che potesse giocare il ruolo di avamposto e baricentro delle economie e dei fatti che il mediterraneo veicola, per la varietà di culture e Stati che si affacciano e interagiscono. Ciò è accaduto ma, purtroppo per noi, con l’occasione dell’intervento militare in Libia, per assicurare, così recita la risoluzione ONU 1973/2011, “la protezione dei civili e delle aree a popolazione civile e il passaggio rapido e senza ostacoli dell’assistenza umanitaria insieme alla sicurezza del personale umanitario”.

E così la Sicilia questa centralità se l’è repentinamente conquistata, offrendo basi navali, aeree e di controllo per l’operazione multinazionale in corso. Sigonella e Trapani Birgi per i velivoli militari, Augusta per navi e sommergibili, Mezzogregorio in provincia di Siracusa e Niscemi per il monitoraggio radar e le telecomunicazioni, sono alcuni dei supporti logistico militari che la Sicilia sta offrendo all’operazione.

Purtroppo la centralità della nostra regione non si esaurisce qui, in un contesto di intervento militare che genera tutte le conseguenze che una guerra locale ma estesa può generare.

Da alcuni reportage più specifici e da notizie più tecniche si apprende che il primo intervento di americani, francesi ed inglesi è iniziato e sta proseguendo con missili da crociera con testata ad uranio impoverito. Missili predisposti per penetrare ed esplodere in bunker sotterranei e distruggere siti protetti. Gli Usa hanno usato almeno 110 Tomhawk ad uranio impoverito, Francesi e Inglesi hanno usato analoghi missili del tipo Storm Shadow (in francese denominati Scalp-eg), anch’essi con testata ad uranio impoverito.

Pare che il quantitativo stia superando quanto già utilizzato nella guerra dei balcani, ove tale uso fu limitato per le ovvie conseguenze sulle truppe di terra.

L’uranio impoverito, se inalato od ingerito, ha effetti devastanti sulla salute nel lungo tempo e sulle malformazioni dei nascituri. Anche per questo si spera che l’attacco e la resa di Gheddafi non implichi tempi troppo dilatati. Il conflitto in Libia è dall’altra sponda del mediterraneo e le preoccupazioni per gli italiani e soprattutto i siciliani sono evidenti. Se poi si pensa che nelle giornate di scirocco spesso, sulla costa sud siciliana, piove sabbia rossa dei deserti africani, certamente l’uso di tali armi non è un indizio rassicurante neanche per noi gelesi.

Si aggiunga inoltre che le anomalie in volo sono cosa non così sporadica e, in tali casi, la procedura militare per gli aerei armati di missili (innescati per il combattimento ed ad uranio impoverito) consiste nello sgancio del missile a mare ed il rientro nella base più vicina. Pare che almeno quattro casi siano noti alle cronache. E noi siciliani siamo consumatori del pesce nostrano pescato nello stesso mare su cui si attuano tali procedure.

Per completare lo scenario, la base di Sigonella si è dotata di super-droni teleguidati che mappano costantemente l’intera area mediterranea e, sia per le dimensioni ragguardevoli sia per il fatto che non hanno un pilota a bordo, tali droni richiedono protocolli di volo ove si raccomanda una certa distanza da basi aeree civili e Fontanarossa è a pochi chilometri di distanza.

Insomma gli interventi che l’Onu ha sancito stanno mettendo a dura prova anche la nostra terra e i suoi abitanti. La guerra, o come la si voglia chiamare, non ha più effetti solo locali, la tecnologia impiegata ha esteso le aree impattate e la Sicilia rimane il baricentro di tale teatro. Noi Gelesi non ci troviamo più ai confini dell’impero ma proprio al centro di questa tempesta bellica perfetta.

Se dagli effetti tecnologico-militari passiamo agli effetti della politica italiana dell’ultimo decennio, l’altro fenomeno, del tutto prevedibile, è l’invasione dei disperati che fuggono, di tutte le nazionalità africane. Infatti la Libia dava lavoro a tanti africani degli Stati limitrofi. Lampedusa è ormai sopraffatta e la prima emergenza concreta è quella sanitaria.

Ma si può dire che la politica non c’entra con questi fenomeni e che il numero di fuggitivi che sbarcano sulle nostre coste è ingestibile? Se la risposta è emotiva diremmo che il fenomeno è superiore alle nostre capacità. In realtà così non è. La politica è tale che richiede lustri o decenni per dispiegarsi e dare frutti. Da più di un decennio di politica populo-leghista l’Italia si è configurata attorno all’idea di “casa mia”. I leghisti ne hanno fatto una religione, una religione di ripiegamento. Ne hanno dedotto le leggi come la Bossi-Fini, hanno congelato, se non smantellato, le infrastrutture per l’accoglienza ed hanno sfavorito ogni meccanismo di integrazione di popoli che vogliono solo un umile lavoro e sfamare una prole. Questa politica ha prodotto paura e inabilità, disorganizzazione e ritrosia ed i frutti sono sotto gli occhi di tutti. Se si giudica guardando al presente, l’emergenza sembra inaffrontabile, se si giudica con i tempi della politica le responsabilità cominciano invece ad essere più precise.

Un’Italia povera e impreparata ed un popolo siciliano ancora sacrificato alle volontà generali, con in più l’oltraggio di un campanilismo regionale che sta prosciugando l’Italia dall’interno.

Tempi bui, nei quali si discute di dettagli e non si vede il macigno che avanza. Eppure reagire e ragionare è irrinunciabile. I Gelesi, come i siciliani, hanno finalmente conquistato un baricentro ma sempre all’interno del paradosso siciliano che vuole che l’attenzione alla nostra terra sia alta solo quando si deve sacrificare. Che almeno le nuove e laiche generazioni africane, che si ribellano ai despoti miliardari, siano di giustificazione per i sacrifici che ci attendono.


Autore : Sebastiano Abbenante

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