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notizia del 23/04/2004 messa in rete alle 14:06:53
Vitale-Costa, giustizia a caro prezzo
In settimana é arrivata la tanto attesa sentenza di assoluzione piena per Filippo Vitale e per Enzo Costa, all’epoca della vicenda il primo vicequestore commissario e dirigente, il secondo ispettore superiore della polizia di Gela. Accusati da un paio di pentiti, hanno trascorso quasi vent’anni di inferno.
Il nostro giornale, che ha sempre creduto nella totale innocenza dei due, ha affidato il commento al collega Elio Cultraro profondo conoscitore delle vicende di quei tempi.
Se non fossero trascorsi dieci lunghissimi anni, se non fossero state distrutte la vita e le carriere di due servitori dello Stato che, con onestà e spirito di abnegazione, nel momento più delicato della storia della nostra città, diedero ampia prova di professionalità e, soprattutto, di ciò che vuol dire indossare una divisa, oggi potremmo affermare con enfasi che finalmente la giustizia ha fatto il suo corso. Invece, pur con una certa soddisfazione e rallegrandomi con gli amici Filippo Vitale ed Enzo Costa per l’esito positivo (e definitivo) della loro vicenda giudiziaria, ordita ed orchestrata da chi aveva interesse diretto ed immediato ad eliminarli dalla scena gelese per vendetta o per invidia (sentimenti questi che albergano nell’animo di piccoli uomini o di persone incapaci o affette dalle più perniciose delle patologie, il malanimo ed il complesso di inferiorità), non posso non evidenziare le storture del nostro sistema giudiziario che, come è stato ampiamente dimostrato in due gradi di giudizio, con molta leggerezza, ha permesso a dei malavitosi di dare sfogo al loro desiderio di vendetta, con l’unica arma che, all’epoca, avevano a disposizione e cioè la calunnia nei confronti di due integerrimi poliziotti, il cui grande torto è stato sicuramente quello di voler fare fino in fondo il loro mestiere: tutelare la civile convivenza e perseguire qualunque forma di illegalità e di abuso, con impronta personale, ma sempre nella os-servanza delle leggi dello Stato.
Certo, anche io, all’epoca, non cogliendo fino in fondo il significato e la portata di certe loro iniziative, sono rimasto in talune circostanze perplesso. Salvo poi ricredermi, dinanzi a risultati che a quei tempi ci apparivano clamorosi e ci lasciavano esterrefatti. Infatti, che importanza poteva avere se, per ragioni del loro servizio e per attingere le migliori e proficue informazioni sulle attività criminose che si svolgevano a Gela e nel circondario, Filippo Vitale, Enzo Costa ed il compianto appuntato Biagio Arangio, nottetempo, e nei luoghi più impensabili – comprese le impervie alture che circondano la piana di Gela – si incontravano con elementi appartenenti alla malavita organizzata e/o comune della nostra città? Nessuno ha mai dimostrato, nonostante le calunniose chiacchiere che giravano in quegli anni, che Vitale e Costa fossero corrotti o, peggio ancora, al soldo della malavita organizzata. Così come, attraverso una serie di indagini estese a parenti ed amici, non sono state rintracciate quelle “enormi ricchezze” di cui, secondo le calunnie del tempo, si favoleggiava i due fossero entrati in possesso. Eppure, c’è stato chi, per motivi oscuri ma alquanto intuibili, ha dato credito a dei malavitosi in cerca di vendetta, inducendo la magistratura ad inviare l’informazione di garanzia ai due poliziotti (Vitale la ricevette via fax mentre frequentava a Roma il corso di formazione per dirigente, che gli avrebbe schiuso le porte per diventare questore), senza che vi fosse lo straccio di una prova, o un riscontro oggettivo ma solo ed esclusivamente la versione di quattro cosiddetti “pentiti” (tre di questi sono, peraltro, fratelli ed una maggiore prudenza nella valutazione dei fatti da loro riferiti era quanto mai opportuna, oltre che doverosa, per quel fumus boni iuris che la vicenda presentava, anche in relazione all’attività investigativa svolta dai due poliziotti e che aveva riguardato i loro accusatori, fra le centinaia di persone sottoposte ad indagini e/o accertamenti).
Adesso la triste e dolorosa odissea di Filippo Vitale ed Enzo Costa è giunta al termine. I due poliziotti che, peraltro, erano già stati assolti in primo grado con formula piena, hanno ottenuto una seconda sentenza favorevole, ma questa volta intendono procedere penalmente, per il reato di calunnia aggravata continuata, nei confronti dei loro accusatori. I loro avvocati attenderanno il deposito della sentenza di assoluzione; poi presenteranno querela e, con separato atto, richiesta di risarcimento dei danni morali subiti dai due poliziotti, i quali, fra l’altro, hanno visto andare in fumo tanti anni di intenso lavoro al servizio dello Stato, intaccata la loro onorabilità e distrutta la loro carriera, che era stata costellata da grandi sacrifici personali, ma anche da tanti successi, di cui sono stato per lungo tempo, come cronista, testimone.
Grazie al Corriere di Gela, e con l’ideale adesione del suo direttore Rocco Cerro, posso esprimere la mia soddisfazione per l’esito (immodestamente ritenuto da me scontato) con l’unico mezzo che mi risulta più agevole: scrivere queste note ed augurare a Vitale e a Costa le migliori fortune.
Autore : Elio Cultraro
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