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Corriere di Gela | I miei ricordi su Aldisio
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notizia del 28/10/2005 messa in rete alle 13:42:38

I miei ricordi su Aldisio

Certamente Aldisio non era immune dai difetti tipici degli uomini politici di un certo livello. Ma nel complesso debbo riconoscere che tutto sommato egli era un galantuomo. Aveva le sue convinzioni, forse qualcuna risaliva all’ottocento, nutriva un grande affetto per la sua città, era un democristiano convinto, era per la giustizia sociale e si batteva onestamente per ottenerla.
Eravamo alla vigilia di elezioni. Alle parrocchie di Gela furono assegnate trecentomila lire a condizione che metà della somma fosse devoluta alla D.C. che ne ave-va bisogno per le prossime elezioni. Qualcuno certamente avrà da ridire e non posso dargli torto. I tempi erano quelli. Io, fervente democristiano, di fronte alle obiezioni di non pochi parroci, volli consegnare al partito l’intera somma ricevuta. Diventai così, in certo qual modo, il prete di fiducia di Aldisio il quale faceva arrivare a me gli aiuti (pasta, burro, farina etc) da distribuire ai poveri ed alle varie associazioni di categoria di Gela.
Devo confessare che l’infatuazione democristiana ha portato anche me a commettere azioni moralmente illecite. Ho ricevuto dall’Eca forti somme di denaro che invece di distribuire ai poveri (era questo lo scopo dell’Eca) le ho consegnate allo stesso Aldisio per le spese del partito. E per questo non sono mai stato rimproverato, anzi elogiato per la “mia dedizione alla causa”.
Un giorno Aldisio mi confidò che nel suo testamento aveva depositato una somma di alcuni milioni necessari per erigere a parrocchia di S. Agostino. Ero perfettamente convinto che il generoso gesto di Aldisio era del tutto inutile perché mons. Federico non avrebbe mai permesso che alla Matrice fosse sottratta anche una piccola parte delle diciottomila “anime” che faceva parte della sua parrocchia. Sarebbe stata una inaccettabile “diminutio capitis”, una diminuzione di prestigio. Piuttosto che una “diminutio capitis”, sarebbe stata un “diminutio capitalis”. In effetti i motivi nascosti erano ben altri. Meno “anime” significava meno matrimoni, meno battesimi, meno funerali, meno introiti. E il pensiero di mons. Federico pesava non poco nella Curia di Piazza Armerina.
Quando, mi pare nel 1962, partecipai assieme al compianto Pippo Vitale, Elio Russotto e Aldo Clementino al Congresso nazionale delle Acli a Bari, ne tornai entusiasto per la proposta del centro sinistra. Il vescovo Catarella, tutto preoccupato, mi convocò a Piazza Armerina per chiedermi se era vero che le Acli si erano espresse favorevolmente per il centro sinistra. Gli dissi, con malcelata soddisfazione, che al congresso c’erano posizioni divergenti su tanti argomenti, ma quando si parlava di centro sinistra tutti erano d’accordo. Dopo pochi giorni convocò il clero della diocesi e il vescovo, preoccupatissimo, disse che si stava tentando di dare l’Italia in mano dei comunisti. Riferii l’accaduto a mons. Bonicelli, ex arcivescovo di Siena e allora assistente nazionale della Acli, il quale ci rise sopra e mi disse: “I vescovi non sanno far politica. La lascino fare ai competenti”.
Anche Aldisio venne a sapere del mio entusiasmo per il centro sinistra, mi chia-mò nella villa del carrubo e mi disse testualmente: “Non possiamo fidarci di Nenni. Nel 1947 De Gasperi, prima dello strepitoso 18 aprile del 1948, era preoccupato e sapendo della mia personale amicizia con Nenni, mi incaricò di sondare il terreno per vedere di ricondurre i socialisti all’area democratica. Per undici giorni ci siamo incontrati alla presenza di un comune amico (il direttore del Messaggero, Messori, mi pare) e abbiamo discusso di tutto. Alla fine, tutto contento, andai da De Gasperi a dirgli che Nenni era recuperabile all’area democratica. Dopo poche settimane fece il Fronte Popolare col Partito Comunista. Come si fa a fidarsi di un simile uomo?”. Gli dissi che le Acli ritenevano necessaria la presenza dei socialisti per fare una politica più attenta ai bisogni della classe operaia, ma accortomi che Aldisio stava poco bene non volli insistere. Quando però Aldisio venne a sapere che le Acli ed io eravamo sempre favorevoli al centro sinistra, per “convertirmi” mi mandò in convento l’on. Alessi persona intelligentissima, ma non tanto da saper misurare l’intelligenza degli altri. Mi disse, fra l’altro che la Cisi e le Acli erano diventate marxiste e quando si accorse che le sue argomentazioni non mi convincevano, esplose: “Ora vi farete difendere dai comunisti”. In quel periodo stava difendendo quei poveri monaci di Mazzarino. Risposi: “On. io mi so difendere da me stesso”.
Quando morì Aldisio, l’avv. Lorefice suo esecutore testamentario, che era a conoscenza della promessa fattami da Aldisio per la parrocchia di Sant’Agostino, mi disse che si stava recando a Roma per aprire il testamento. Tornato, mi riferì dispiaciuto che i milioni promessi nel testamento non c’erano più. Evidentemente Aldisio aveva castigato la mia affezione al centro sinistra. Pazienza. Pace all’anima sua.


Autore : Antonio Corsello

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