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notizia del 14/11/2010 messa in rete alle 12:54:44
Assenteismo e produttività diventano temi territoriali
Riprendo pe ril Corriere di Gela un recente intervento del Preside Luciano Vullo. Lo faccio perché credo che i temi della produttività e dell’assenteismo da lui esaminati stiano diventando frequenti riferimenti nei ragionamenti industriali dell’Italia di oggi e rischiano di percorrere una deriva semantica che potrebbe diventare preconcetta invece che chiarificatrice.
Recentemente l’Ad di Eni Scaroni, al meeting dei Giovani di Confindustria, ha nuovamente fatto riferimento al crollo della produttività e all’alto tasso di assenteismo di alcuni stabilimenti del Mezzogiorno.
Facendo riferimento esplicito alle raffinerie di Taranto e di Gela per le quali si registra un tasso di assenteismo del 10% circa, contro poco meno del 5% della raffineria di Sannazzaro presso Pavia e del 2% della Baviera e della Repubblica Ceca. Sostanzialmente Scaroni si riaggancia ai ragionamenti apripista dell’amministratore delegato della Fiat Marchionne, che aveva già dato il via al tema affermando una verità sugli indici di produttività in Italia, ma ecco la domanda lecita da fare: è solo una parte della verità? E se ne è una parte, una mezza verità è equivalente ad una mezza falsità?
Partiamo dall’assenteismo: il sindacato locale riprende il tema, annunciato da Scaroni, avanzando perplessità sulle cause e ventilando ipotesi di sovraccarico di turnazioni che potrebbero indurre un incremento dei casi di assenza per malattia. Il dibattito pubblico sul tema sembra assestarsi su un’analisi delle cause basata su ipotesi, quasi guardando il tema da una certa distanza, pur concordando tutti su una disponibilità generale nel salvaguardare la produttività come presupposto di investimenti e lavoro.
In realtà il tema dell’assenteismo da semplice indicatore prestazionale aziendale sta assumendo una valenza geografica e territoriale che rischia di arrecare un danno ai lavoratori del mezzogiorno d’Italia. Non sfugge a nessuno che tale indicatore viene confrontato tra aree geografiche nord-sud che oggi sono all’interno del dibattito politico federalista che porta con sé tutto il retaggio di pareri, spesso ingiustificati, che associano l’efficacia lavorativa alla regionalità, sconfinando nella banalità della valutazione dell’indole di certe popolazioni rispetto a temi come il lavoro che sono ormai universali. Tale dibattito e tale deriva sono pericolosi per i lavoratori e per le aziende.
L’assenteismo è un fenomeno industriale e come tale deve essere trattato, occorre cioè ricercare le cause del fenomeno non partendo da indoli o regionalità dei lavoratori ma dal constatare fenomeni di convenienza lecita o illecita che posso innescarsi in situazioni aziendali complesse e regolate da normative articolate. Su questo argomento il sindacato non dovrebbe solo limitarsi a proporre ipotesi, ma dovrebbe, anche in autonomia, avviare un’analisi dei fenomeni che a monte determinano il mantenimento di tassi così elevati di assenteismo, non partendo da alcun preconcetto, perché le cause possono essere anche più di una e tra loro correlate. Questo contribuirebbe a perseguire il beneficio di sottrarre a preconcetti geografici il tema ormai nazionale dell’assenteismo e consentirebbe di ricondurlo invece ad un’analisi fenomenica su cui anche le aziende potrebbero convenire ed intervenire. E il sindacato ha aderenze e mezzi per potere farsi una solida opinione su tale tema.
Un altro aspetto non secondario sull’assenteismo va anche accennato. L’assenteismo non è solo una fenomenologia della produttività che riguarda i lavoratori, riguarda anche la sfera del management. Voglio dire che controllare il fenomeno, capirne gli inneschi ed agire sulle cause è anche una incombenza manageriale che deve sapere individuare meccanismi di gestione che scoraggino il fenomeno. La managerialità implica anche il governo di tali fenomeni (non a caso la managerialità deriva dalla semantica di “condurre uomini” e governarne l’azione), per salvaguardare il mandato degli azionisti, all’interno di azioni e regole industriali. Insomma l’assenteismo come una performances fenomenica e non territoriale.
Il secondo tema della produttività è anch’esso oggetto di dibattito, spesso accoppiato con la territorialità. Ma va detto che la produttività non è una condizione sufficiente per creare utili ad un’azienda. Esistono infatti assetti, sia nelle industrie di processo che nelle industrie di prodotto, come la Fiat, ove ad una maggiore produttività potrebbe corrispondere una maggior perdita economica. Se il mercato non assorbe i prodotti l’azienda potrebbe perdere di meno se non produce ed infatti spesso in Fiat vengono gestiti periodi di cassa integrazione funzionali alla recettività del mercato. Gli utili sono invece garantiti solo da una profittabilità del business, ossia da una convenienza del sistema composto da produttività, scenario del mercato e qualità del prodotto che generano insieme utili per l’azionista se la profittabilità è positiva. Voglio dire che la produttività è sicuramente un fattore che va mantenuto su valori competitivi ma che da sola non decreta la profittabilità del business e quindi il conseguimento dell’utile. In sintesi, non si può dire che un’azienda fallisca solo per una bassa produttività, si può sicuramente dire che fallisce per una bassa profittabilità a cui può avere contribuito anche una scarsa produttività. Ne deriva che non è solo sui lavoratori che può ricadere la responsabilità o il merito di avere un’azienda vincente, ma questo dovrebbe essere un concetto lapalissiano che nei fatti non è.
Scaroni ha anche sottolineato in tale meeting che in un petrolchimico il fattore lavoro incide meno sulla produttività di quanto accada in una fabbrica di auto, pur condividendo molte delle cose dette da Marchionne. L’assenza di una catena di montaggio come in FIAT, per la quale le metriche di lavoro dei dipendenti vengono misurate in minuti di pause e di lavoro, fa si che le metriche in un petrolchimico vengono declinate su due pilastri: la responsabilità della mansione e i sistemi di monitoraggio e controllo dei processi. L’efficacia di questi ultimi e la loro pervasività sui livelli più operativi svolgono un ruolo analogo al sincronismo operativo che la catena di montaggio induce. Ne deriva che la produttività di un petrolchimico è fortemente condizionata dall’assimilazione degli strumenti di controllo e monitoraggio da parte del personale operativo.
In sintesi ciò che va evitato è che produttività ed assenteismo perdano la loro vera natura di indicatori fenomenici di comportamenti che vanno indagati e compresi per essere affrontati e si vestano invece di una caratterizzazione territoriale che non spiegherebbe niente e che invece potrebbe essere il presupposto per rendere forse più accettabili delle exit-strategy nel medio e lungo termine.
Autore : Sebastiano Abbenante
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