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notizia del 22/03/2009 messa in rete alle 12:48:13
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Il giudice antimafia Giuseppe Ayala incontra la città
Sono ormai trascorsi ventidue anni dallo storico maxiprocesso svoltosi nell’aula bunker del Tribunale di Palermo: per la prima volta in assoluto i vertici operativi delle feroci cosche mafiose locali venivano giudicati, collettivamente, innanzi ad un organo giudiziario. Uno dei principali fautori dell’intera struttura accusatoria, culminata in un’interminabile sequenza di condanne, fu, senza alcuna ombra di dubbio, l’allora pubblico ministero, Giuseppe Ayala. Quando si analizza lo stato attuale dell’opera giudiziaria di contrasto alla criminalità organizzata siciliana non è dato in alcun modo trascurare l’impatto prodotto dall’operato del cosiddetto pool antimafia di Palermo, composto da magistrati (Giuseppe Ayala, ma anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) ritenuti, dalla gran parte dell’opinione pubblica, veri e propri padri nobili dell’antimafia. L’auditorium del Liceo Classico “Eschilo” di Gela, domenica 15 Marzo, ha ospitato proprio il magistrato Giuseppe Ayala, attualmente presidente di Corte d’Appello presso L’Aquila, tra i pochi superstiti di quella stagione di violenza, generatrice di vittime illustri tra gli stessi componenti del pool antimafia (nessuno ha ancora dimenticato il clamore prodotto dagli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino). L’evento, organizzato congiuntamente dal Lions Club del Golfo di Gela e dall’Associazione Antiracket “Gaetano Giordano”, ha preso spunto dalla pubblicazione, risalente a qualche mese addietro, del libro realizzato dallo stesso magistrato, intitolato “Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino”, apprezzato sia dalla critica specializzata che dai comuni lettori. L’arrivo in città di una così importante personalità non ha di certo trovato impreparato il pubblico gelese, affiancato da una folta rappresentanza istituzionale ed associazionistica. Il primo intervento, in ordine di tempo, è stato quello del presidente del Lions Club del Golfo di Gela, Giosuè Furnari, incentrato sui grandi meriti personali del magistrato, fonte d’ispirazione per il rinnovato protagonismo di molte realtà sociali impegnate nella lotta ad ogni forma di mafia. Renzo Caponetti, presidente dell’Associazione Antiracket “Giordano”, ha descritto l’efficace operato della propria associazione (la più prolifica in assoluto in termini di presentazione di denunce nell’ambito della Federazione delle Associazioni Antiracket): opponendosi, peraltro, alla superficiale descrizione dell’illustre ospite come superstite del pool palermitano, ed invitando anzi a considerarlo ancora parte attiva del complessivo progetto di annientamento delle mafie. Il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Gela, Lirio Conti, ha descritto la figura di Ayala alla stregua di una solida guida per molti giovani magistrati, indotti, dalle vicende legate al pool antimafia, ad intraprendere la carriera di grandi predecessori. Successivamente agli svariati attestati di stima pervenutigli, l’autore di “Chi ha paura muore ogni giorno”, ha preso la parola ringraziando vivamente tutti gli intervenuti, ritenuti prova tangibile del cambiamento intrapreso da una città che, abbandonati i panni di capitale della mafia, ha deciso di indossare quelli di capofila nella lotta alla criminalità organizzata nelle sue varie forme (evento impensabile solo agli inizi degli anni ’90). Il magistrato si è principalmente concentrato sulla descrizione, minuziosa ed al contempo assai ironica, di diversi momenti di vita quotidiana, fatta di molto lavoro e poco riposo, condivisi con uomini, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ingiustamente sottratti all’affetto delle rispettive famiglie: paradigmi di una magistratura pronta a tutto pur di eliminare ogni forma di insubordinazione ai danni dello Stato. La figura di Giuseppe Ayala, come già ricordato, si affianca, quasi ad immedesimarvisi, con le vicende del maxiprocesso di Palermo, avviatosi il 10 Febbraio 1986 e conclusosi il 16 Dicembre 1987, propedeutiche anche rispetto alla definizione di nuove procedure processuali, e proprio per simili ragioni più volte citato dallo stesso: con lo scopo, però, di descrivere una fase della vita della magistratura palermitana non caratterizzata da onori e riconoscimenti, bensì divenuta punto di svolta di una lunga era di denigrazione ed isolamento, culminata con le uccisioni eccellenti dei colleghi ed amici Falcone e Borsellino. L’esperienza tratteggiata da Giuseppe Ayala si colloca con forza agli antipodi della dimensione dei cosiddetti “professionisti dell’antimafia”, illustrata polemicamente da Leonardo Sciascia, il quale soleva dichiarare che “non c’è niente di meglio per farsi strada in magistratura che prendere parte ai processi di mafia”.
Autore : Rosario Cauchi
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