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notizia del 30/03/2009 messa in rete alle 12:24:32
Stidda, brigatismo e appalti
Esce dalla sede del comando dei carabinieri di Gela, manette ai polsi, affiancato da due appuntati, con aria fiera e baldanzosa, Vincenzo Pistritto, nuova leva della stidda gelese: capo indiscusso di un gruppo, composto prevalentemente da giovani operai e disoccupati, disarticolato da un'operazione eseguita, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Caltanissetta, dagli stessi carabinieri della locale compagnia.
Le accuse rivolte ad un totale di otto indagati (anche se uno di essi risulta essere ancora irreperibile) sono molteplici: dall'associazione di stampo mafioso alla detenzione illegale di armi ed esplosivi fino al sequestro di persona a scopo d'estorsione. Gli inquirenti hanno descritto tutti i tratti tipici di un commando militare, pronto ad avviare la propria azione, finalizzata all'esecuzione di almeno due sequestri di persona (ai danni dell'attuale presidente della Banca agricola popolare di Ragusa, Giovanni Cartia, e dell'imprenditore edile gelese, Vincenzo Cavallaro).
L'intento della banda era quello di investire i capitali conseguiti dall'attività criminale nel mercato economico del nord Italia, specialmente nel settore edile. Queste, per sommi capi, rappresentano le specifiche note di una tipica operazione antimafia; ma, al contempo, non possono trascurarsi altri particolari, decisivi per una più marcata caratterizzazione dell'intera vicenda.
Scorrendo le foto segnaletiche degli arrestati è abbastanza semplice fermare la propria attenzione su di un volto diverso da tutti gli altri, non solo da un punto di vista anagrafico (la quasi totalità degli odierni destinatari dei provvedimenti di custodia cautelare in carcere non ha più di trent'anni), ma anche estetico: quello di Calogero La Mantia.
Negli ambienti del crimine organizzato gelese il nome di questo cinquantanovenne, originario di Sommatino, costituisce in pratica un'assoluta novità: non ci si deve però illudere, in quanto La Mantia, pur privo di precedenti penali sul territorio locale, e più in generale regionale, ha comunque accumulato precedenti nelle regioni del nord. Certamente la sua è una personalità assolutamente estranea alle ordinarie caratteristiche della criminalità gelese: durante gli anni settanta, dopo aver deciso di lasciare la Sicilia, si ritrovò in Liguria, all'interno di gruppi di giovani emigranti nisseni, dedicatisi nel proseguo al traffico di stupefacenti, senza esserne coinvolto; si spostò successivamente nel territorio milanese all'interno del quale venne in contatto con alcuni tra i futuri esponenti della colonna milanese “Walter Alasia” delle Brigate Rosse (tra questi spicca il nome di Vittorio Alfieri). La sua esperienza in clandestinità non durò molto, concludendosi con un periodo di reclusione, e la successiva decisione di ritornare a Gela.
Il modus operandi brigatista (non a caso comunicava con i complici utilizzando esclusivamente schede telefoniche prepagate) lo ha connotato anche in questa nuova esperienza criminale, nella quale ha assunto il ruolo di stratega, definendo nei minimi particolari tutte le modalità dei paventati sequestri, trovando piena collaborazione negli altri componenti della banda, inesperti in un simile ramo.
Il connubio tra esponenti mafiosi ed ex militanti di formazioni rivoluzionarie politico-militari, tuttavia, non costituisce una completa novità: taluni casi si erano già registrati, al di fuori dei confini siciliani, nelle regioni del nord-est, ove per svariati decenni ha imperversato la cosiddetta “mafia del Brenta”, capeggiata dal boss Felice Maniero; molti associati, a seguito del repentino indebolimento del gruppo, scelsero di agire autonomamente, unendosi ad ex aderenti di formazioni politico-militari sia di destra che di sinistra (Br, Nar, Ordine Nuovo), ed agendo in diversi settori, tra i quali prevale certamente quello del traffico di stupefacenti.
Neanche la decisione di dedicarsi al sequestro di persone assume i canoni della totale “innovazione” per le organizzazioni mafiose del gelese: già nel 2006 un gruppo riconducibile all'orbita del clan Madonia (del quale faceva parte anche il boss Carmelo Barbieri) venne bloccato poco prima di procedere al sequestro di due orafi veneti, i fratelli Bovo.
Denaro, potere intimidatorio, appalti: questi sono in sostanza gli interessi capaci di coagulare in una sola unità personalità diametralmente differenti (per formazione, storia ed esperienze); ma in questo caso il futuro degli arrestati non proseguirà, come da loro auspicato, presso esotiche isole tropicali (nel caso di specie le Cayman), ma all'interno delle più amene strutture carcerarie nazionali.
Autore : Rosario Cauchi
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