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Corriere di Gela | Ex Ospizio marino, città e prospettive
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notizia del 22/09/2008 messa in rete alle 12:19:11
Ex Ospizio marino, città e prospettive

I temi del recupero delle antiche vestigia sono familiari in una Nazione ricchissima di monumenti e opere d’arte come l’Italia, da qualche tempo se ne discute con sempre maggiore partecipazione e sensibilità anche a Gela segno che il timore di perdere le testimonianze del passato risiede sempre di più nella coscienza dei cittadini. Il tema che oggi tiene banco riguarda i ruderi di un vecchio edificio, già Ospizio marino, costruito negli anni trenta, privo d’importanza artistica e di scarsa valenza storica. La domanda principale è se quei ruderi, per far posto ad una nuova opera pubblica, possono essere abbattuti senza compiere uno scempio. La risposta a questa domanda risiede in un intreccio di valutazioni riguardo la qualità architettonica, la valenza storica dell’edificio e i costi di ristrutturazione. Naturalmente la valenza storica del sito tanto più è alta, tanto più prevale sulle considerazioni economiche.
Il dibattito non chiuso sui progetti di riqualificazione delle piazze del centro storico porta con se la consapevolezza che quei siti sono d’importanza identitaria straordinaria per la città. Lo stesso non può dirsi per l’ex Ospizio marino e pur apprezzando l’impegno di chi sta affrontando la questione con passione civile da altra prospettiva, con tutta franchezza, non credo che quell'edificio, per il suo scarso valore storico, nato senza particolari pretese artistiche e divenuto poi, più o meno casualmente, un istituto scolastico, abbia i requisiti per essere annoverato trai i beni da conservare. Sarebbe altra questione se si trattasse del Pontile sbarcatoio per le molteplici e complesse attività che vi si sono svolte e per l’alto valore ambientale, o dell’ex fabbrica di Liquirizie perché testimonianze delle antiche attività industriali cittadine, o dell’ex Lido La Conchiglia per la sua storia e per la particolare architettura risultato di una trasfigurazione raffinata degli antichi lidi di legno.
Ci sono altre considerazioni che spingono alla non conservazione di quei ruderi: le condizioni statiche non rassicuranti, le finiture inesistenti, la constatazione che non ha mai “dialogato” con l’ambiente circostante e mai è stato un riferimento per la città che quasi non si accorge che esiste. Non è neppure trascurabile la considerazione sui maggiori costi di ristrutturazione per le particolari attenzioni progettuali ed esecutive necessarie ad evitare l’effetto Disneyland. Notevoli sarebbero, infatti, le trasformazioni per adeguare la struttura alle funzioni della Radioterapia e tali trasformazioni la renderebbero irriconoscibile.
Si demolisca perciò senza rimpianti. Per la memoria é sufficiente conservare rilievi, foto e progetti originari, ma si abbia una precauzione, questa si, di particolare delicatezza. Si è ipotizzato che l’area dell’ex Ospizio marino potrebbe nascondere parti della struttura scenica del teatro della Gela antica sinora mai individuato, si colga l’occasione per indagare e verificare, indagini archeologiche preliminari sarebbero comunque inevitabili vista la particolarità del luogo, ma é bene che la città tenga conto fin d’ora che quel sito è ad alto “rischio” archeologico, ritrovamenti importanti sono perciò assai probabili. In quel caso, si eviti l’imbarazzante “spinta” alla loro distruzione in nome del nuovo Centro di Radioterapia come in parte è già avvenuto per il parcheggio retrostante la Capitaneria di porto. Occulteremmo per sempre le ricchezze più significative della città. Il Corriere di Gela del 13 settembre scorso ha evidenziato quattro errori storici di questa città, in realtà gli errori storici sono più numerosi, ma voglio riprendere quelli citati dal giornale perché vanno nella direzione giusta per stimolare quanti hanno la pazienza e il desiderio di immaginare la città di domani e la voglia di agire per realizzarla. Gli errori di cui parla la redazione del Corriere sono così sintetizzabili:
1. avere costruito lo stabilimento a ridosso della città;
2. non avere riconvertito l’economia cittadina al Turismo;
3. avere costruito case popolari sul lungomare;
4. non avere delocalizzato le palazzine Iacp. I sedimi di quegli edifici avrebbero potuto ospitare attrezzature di qualità.
Il primo punto, credo sia condiviso da tutti, ma purtroppo su questo non c’è più nulla da fare, si può solo osservare che nell’opinione diffusa è la città che è cresciuta attorno al petrolchimico e non il contrario come anche l’ottima trasmissione Rai sull'inquinamento della raffineria ha affermato nel corso della trasmissione occupandosi di Gela. Uno dei tanti falsi luoghi comuni di cui la città è vittima;
Sul secondo punto, invece, non solo è possibile lavorare ancora oggi, ma possono aggiungersi l'Agricoltura e la piccola industria di trasformazione dei suoi prodotti. Naturalmente infrastrutture, organizzazione del terziario, la stessa organizzazione della pubblica amministrazione e lo sviluppo urbano dovranno essere coerenti con questi obiettivi e si dovrà agire per eliminare le situazioni di degrado in cui versano le nostre periferie, incompatibili con un’economia basata sul turismo; Sul terzo e quarto punto concordo in pieno. Sono argomenti che hanno la stessa origine: l’assenza di una visione strategica dello sviluppo della città e la conseguente impossibilità della coerenza degli atti decisionali e amministrativi.
La scelta di costruire case popolari sul lungomare è sbagliata per due ordini di ragioni. La prima, perché consuma suolo utile a produrre ricchezza: è come se un imprenditore costruisse la propria abitazione all'interno della sua fabbrica impedendo a se stesso di produrre i prodotti che sono la fonte dei suoi guadagni. La seconda, perché la costruzione di case popolari nelle aree periferiche avrebbe potuto contribuire ad interrompere un modo assurdo di costruire. Si tratta di bloccare quella successione continua e sempre uguale di case a schiera multi piano con un solo affaccio aero illuminato, che i regolamenti edilizi, gli strumenti di panificazione, le eccessive deroghe sanitarie, la stessa mancata presa di coscienza da parte della pubblica amministrazione che si tratta di una situazione insostenibile, continuano a perpetuare. Plaudiamo al dibattito in corso, ma gradiremmo ancora di più che se ne aprisse un’altro per comprendere i contenuti di un Prg che sta seguendo un iter fin troppo silenzioso e non sappiamo ne cosa accadrà alle periferie, ne se l'assenza “pazzesca” di standard e servizi pregressi della città potrà essere recuperata.
E allora, per iniziare ad invertire la rotta, cominciamo dall’oggetto di questa discussione affermando che sarebbe più saggio, per la pubblica amministrazione, individuare un sito diverso dove far sorgere il Centro, magari in zona periferica, per cogliere l’opportunità di riqualificare quelle aree e per garantire che un servizio così importante per la città si realizzi anche in presenza d'auspicabili ritrovamenti archeologici. Inserire una struttura di servizio pubblico così importante nella periferia cittadina significa iniziare quell’azione di risanamento urbano che si concretizza inserendo funzioni diverse con la residenza. Per far questo è possibile contrattare una permuta fra le aree di proprietà comunale, anche appositamente acquisite, e le aree di proprietà dell’Ente ospedaliero. I tempi, volendo, possono essere brevi se le procedure sono concertate anzitempo con gli Enti competenti. In quest’ipotesi l’area dell’ex Ospizio rimarrebbe di proprietà pubblica rendendo possibili decisioni meno frettolose sull'utilizzo futuro.
Realizzare la struttura sanitaria a nord della città, oltre ad avere come effetto la riqualificazione di quei luoghi, consentirebbe di realizzare un progetto “libero” dai condizionamenti del contesto e sarebbe di alto valore simbolico potendo essere esempio per un modo diverso di progettare e di costruire. Il servizio di Radioterapia, potrebbe essere dotato meglio che altrove di sufficienti parcheggi e di ampi giardini per degenti e operatori, ma anche, con un'oculata progettazione, per i residenti della zona e se la dimensione lo consentisse i reparti potrebbero essere funzionalmente differenziati garantendo quella privacy che la redazione del Corriere indica come requisito negativo dell'altro sito. Il progetto, se realizzato nell’area dell’ex Ospizio dovrebbe, al contrario, tenere conto di altezze e volumi coerenti con il contesto e con la dimensione ridotta dell’area a disposizione. Sarebbero minime le dotazioni standard e rimarrebbe immutato il rischio di sospensioni per gli eventuali ritrovamenti archeologici.


Autore : Francesco Salinitro

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