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Corriere di Gela | Raffineria, municipalità e territorio
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notizia del 18/12/2011 messa in rete alle 12:08:47

Raffineria, municipalità e territorio

Gela è città che si ripete. Pare che certi dibattiti siano restii ad evolversi e generano litanie incredibili. Anche quando i temi sono di un’importanza vitale.

Ormai da mesi si è instaurato un dibattito sul rapporto tra la raffineria Eni ed il consiglio comunale, nel più ampio contesto della palesata volontà, da parte della dirigenza della raffineria, di avere contatti ed interlocuzioni con i rappresentanti delle istituzioni e non con tutti coloro che, pur eletti, si propongono quali interlocutori. Se ne sente ferito il consiglio comunale che intravede comportamenti irrispettosi e tendenziosi.

Da tale tema derivano poi tutti i corollari tematici sullo sviluppo del territorio: le commesse delle ditte locali dell’indotto, le ricadute ambientali, gli investimenti di consolidamento del business, gli interventi sociali che l’azienda eroga sul territorio. Tutti temi trattati più con il metodo della rivendicazione nervosa e accusatoria che si ripete in un clima in cui in pochi credono a soluzioni valide ed efficaci. Tutto ciò sta generando un cortocircuito nel quale la crisi generale sta ridimensionando imprese e posti di lavoro, le rappresentanze consiliari si sentono impotenti, i partiti politici cercano, nei rari incontri tematici, di capire e la popolazione si abitua sempre più alla ripetitività dei temi perdendo sensibilità sul tragico scenario presente. Un cortocircuito pericoloso e non virtuoso.

Non entrerò sui temi che accompagnano il rapporto tra l’industria del petrolio ed il nostro territorio perché a monte sussiste un altro tema che può essere classificato in ambito metodologico e che va chiarito prima di ogni altra tematica di merito. E’ infatti il chiarimento sulla metodologia di rapporto con la grande industria che, a Gela, deve essere superato, pena la banalizzazione di temi complessi e correlati, in un meccanismo rivendicativo e demonizzante che ingessa ogni possibile strategia di uscita. Temi come la monocommittenza delle ditte locali, la distinzione, non fittizia, tra aziende locali e loro dipendenti (salvaguardare il lavoratori locali dipendenti non significa dover salvaguardare i datori di lavoro locali che devono operare in un contesto di competizione), la salvaguardia giornaliera degli impatti ambientali e sanitari di un’industria pesante sono tutti temi che vengono immediatamente dopo un chiarimento di metodo.

Perché la raffineria chiede interlocutori istituzionali? Pur sapendo che il rapporto con il territorio è una chiave importante di un business polidecennale come la raffinazione? E’ solo un atto di isolamento, di arroganza o si cela un ragionamento, presupposto di tutto quanto può seguire? Ed il Consiglio Comunale, forte della propria rappresentanza elettiva, può operare fuori da binari istituzionali e da ambiti di competenza? Questo è il tema da sviscerare.

Cerchiamo di capire quali sono le condizioni ed i requisiti per poter dialogare tra istituzioni private e pubbliche complesse, perché l’analisi di questo presupposto può chiarire il tema. E per far ciò occorre chiarire in cosa è cambiato il lavoro industriale dalla fine del secolo scorso ad oggi.

Prima del terzo millennio il lavoro aveva una centratura sul carattere implementativo del business, ossia sulla capacità di un’azienda di implementare un processo, una tecnologia, trasformando prodotti. Il baricentro era cioè l’implementazione di una trasformazione. Ne risultava che il lavoro era centrato sulla conoscenza di quella trasformazione, nella best practice di una operatività legata al brevetto o alla prassi industriale, manipolativa per così dire.

Negli ultimi 10 anni si è assistito a processi nuovi che hanno contagiato tutti i business, processi che hanno condizionato, meglio dire vincolato, i business. Processi di compatibilizzazione ambientale (emissione di CO2, certificati bianchi e verdi, sostenibilità declinata nel rispetto di norme e vincoli ambientali, etc.), processi di compatibilizzazione energetica (recupero energetico, indice energetico, flessibilità e stabilità nella alimentazione elettrica dei siti produttivi rispetto alla rete di distribuzione nazionale indicata come superinterrompibilità), processi di compatibilizzazione amministrativa e contabile (trasparenza dei bilanci, codici etici aziendali, norme SOA – Sarbanes-Oxley Act - per la quotazione nella borsa di New York), persino processi di compatibilizzazione organizzativa come le “organizzazioni snelle” tese a recuperare efficienza nella polivalenza delle risorse umane e nell’appiattimento della gerarchia aziendale.

Insomma il baricentro del business si è spostato dall’implementazione del business alla sua compatibilizzazione, ossia allo studio e all’integrazione dei vincoli esterni nel business aziendale.

Come trasforma tutto ciò il lavoro operativo ed implementativo? La risposta è che il lavoro diventa ricerca delle compatibilità, sempre più difficili e di perimetro, atte a garantire l’accettabilità del business nel mondo occidentale che si definisce civile.

Se questo è il mutamento del lavoro interno alle aziende, e la nostra raffineria non sfugge a tale meccanismo, il rapporto con il territorio, con i suoi enti e le sue istituzioni diventa un rapporto teso a ricercare questa compatibilizzazione. L’Eni la chiama “sostenibilità”. E poiché la compatibilizzazione dei business è basata su competenze specifiche e soluzioni di perimetro, le interlocuzioni con l’esterno hanno un senso compiuto solo se la controparte è dotata di un “apparato”. Ossia un sistema che sappia acquisire, elaborare, sintetizzare informazioni e produrre piani, accordi, concertazioni e cooperazioni. Questa è una prerogativa degli apparati non dei singoli. Ossia di organizzazioni strutturate per interloquire e agire con la granularità temporale della singola giornata. Singole individualità, per quanto illuminate, non possono produrre concertazioni utili perché queste devono reggere nel tempo ed essere mantenute in un contesto di coerenza e continuità. E’ questo che ha spinto la raffineria (ma poteva essere una qualunque altra società) a lanciare un messaggio di selettività nella interlocuzione pubblica, un messaggio che ricercasse nelle istituzioni, dotate di apparati, gli interlocutori elettivi.

Sindaco, Prefetto, Procura, Provincia sono istituzioni dotate di apparati che possono organizzarsi per fronteggiare temi e questioni. Il nostro Consiglio Comunale non è un apparato, è una rappresentanza politica che controlla, propone e legifera ma non ha apparati capaci di organizzarsi per consolidare canali di comunicazione specifici: può far sintesi, difficilmente analisi. Se poi si dovesse valutare la natura comportamentale dell’Assemblea Consiliare di Gela, certamente non si potrebbe affermare che abbia saputo costruire un percorso coerente di interazione con l’industria gelese, anche duro e rivendicativo ma stabile e costruttivo.

Ecco perché la proposta del segretario cittadino del Pd gelese, di istituire un assessorato all’industria, va nella direzione giusta, che è quella di potenziare l’apparato comunale per costruire una controparte che interagisca giornalmente sui temi del lavoro locale, delle ricadute ambientali dell’industria, degli accordi di compatibilizzazione con il territorio, della pianificazione dei piani di evacuazione e di sicurezza, del monitoraggio dei piani sanitari specifici da patologie industriali, dello svisceramento del tema della monocommittenza, della condivisione preventiva dei piani industriali e dei bilanci sociali. Un apparato pubblico ben organizzato può essere di supporto al sindaco per costruire questo rapporto, che oggi può essere con la più grande realtà industriale, domani forse potrà supportare il rapporto con altre realtà medio-piccole.

Insomma, non credo che la nostra città debba ricercare individualità illuminate, perché oggi la costruzione di processi collaborativi passa attraverso gli apparati e le organizzazioni. A questo il cittadino gelese deve cominciare ad abituarsi, non foss’altro per abbandonare un’aspettativa politica basata unicamente su quello che i Greci chiamavano “Soter”, il “Salvatore” di turno.


Autore : Sebastiano Abbenante

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