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notizia del 24/07/2007 messa in rete alle 01:18:56
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“Il fu Nino Miceli”, viaggio all’inferno, andata e ritorno
Tredici anni fa il silenzio e la solitudine lo indussero a gettare la spugna e ad andar via da Gela nottetempo dopo avere denunciato i suoi estorsori. Avrà la cittadinanza onoraria perché è un debito che Gela gli deve.
Lui Nino Miceli (in una vecchia foto) è voluto tornare a Gela per dire ai suoi vecchi amici ed ai suoi parenti il perché di quella fuga notturna per approdare in una città di chissà quale regione italiana cambiando nome e lavoro.
Il tempo sembra non essersi fermato per Nino Miceli, solo qualche capello grigio ed un po’ stempiato ed una barbetta che gli dà un’aria da intellettuale. Qualche mese prima che partisse ci eravamo incontrati e ci aveva rilasciato un’intervista molto ricca da dove si poteva toccare con mano la sua immensa solitudine ma la ferma intenzione che di lì a poco avrebbe confermato di essere stato estorto facendo nome e cognome dinanzi al giudice.
Al convitto Pignatelli, dove ha presentato il suo libro “Il fu Nino Miceli”, c’erano tantissimi suoi amici, molti commercianti, autorità civili e militari, il sindaco di Gela, Tano Grasso e quel capitano – ora colonnello – Domenico Tucci che gli stette molto vicino in quegli anni difficili un po’ per tutti. Quando Tano Grasso ha ricordato al pubblico presente le prime vicissitudini di Miceli, le sue battaglie e le difficoltà che poi lo hanno consigliato ad andar via, ha pianto ed ha pianto anche mentre stringeva la mano ed abbracciava il colonnello Tucci.
“Qui questa sera – ha detto Grasso di fronte ad una platea che applaudiva – realizziamo una straordinaria riconciliazione tra l’esperienza di Nino Miceli e la città di Gela. Quel sogno che abbiamo inseguito per anni finalmente si è realizzato a Gela. Allora furono la solitudine e l’isolamento che spinsero Miceli ad andar via da Gela. In due anni di lavoro non riuscimmo a fare l’associazione antiracket. Eravamo arrivati a meno di quattro e non c’era nessun altro che potesse condividere questa esperienza. Ricordo quando si era in tribunale, non c’era nessun cittadino di Gela, ma altri provenienti da altre parti della Sicilia. Adesso non è tutto a posto, perché chi denuncia è ancora una minoranza. La cosa importante è che finalmente si è affermata questo modello. Non c’è solo un Nino Miceli che si è esposto. Ci sono tanti commercianti che si sono esposti e con questo loro esporsi hanno salvaguardato la loro sicurezza”.
Le prime parole pronunciate da Miceli sono state quelle di compiacimento per una Gela diversa e più bella, con dei colori che prima mancavano. E poi aveva un debito. Doveva spiegare perché era andato via. La storia di Nino Miceli è una storia di rottura e non è una pagina positiva. Ma non ci potrà mai essere alcun cambiamento duratura se non ci sarà se non si ha la capacità di fare i conti con la propria storia anche con le pagine negative.
– Il “fu Nino Miceli” è qui vivo e vegeto per dire il perché delle sue tante scelte: la denuncia dei suoi estorsori e poi l’abbandono di Gela. Il tempo per lui sembra essersi fermato. Perché questo libro?
«Probabilmente io non sono riuscito a dare alla città ed alle persone alle quali ero legato, una buona motivazione allora, anche perché non era possibile sotto l’aspetto logistico potere spiegare perché. Questo libro non doveva essere un documento da divulgare. Avevo del tempo, ho pensato di scriverlo. Ma è stata anche l’occasione per potere dare tutte quelle risposte che non ero riuscito a dare personalmente ai parenti, agli amici, ma anche alla città di Gela. Questa è la motivazione che mi porta a scrivere questo libro nel quale si trovano la storia, gli stati d’animo positivi e negativi, che comunque si concludono in modo positivo».
– Quella tua scelta di andar via, ti è mai risuonata in mente come fatto negativo, con ripensamenti?
«Devo dire con molta franchezza che ritornando a Gela, passando da Macchitella, guardando questa città, ho trovato una città nuova, viva, colorata una città che ha voglia di crescere anche nella legalità. Una città completamente diversa e di questo ne sono veramente felice. Non mi sento di dire che sarei dovuto restare. Allora non c’erano le condizioni. E non mi sento di avere l’animo del martire. Ma.ma se ce ne fossero le condizioni, allora sì. A voi la risposta».
– Le mutate condizioni l’hanno indotta a tornare a Gela?
«Credo che le condizioni siano completamente diverse rispetto ad allora. Non faccio politica, non mi interessa. Comunque di questa città mi sono interessato leggendo sempre i suoi articoli ed il Corriere di Gela on line. Leggo gli articoli perché parlano di una città che ho amato e in un certo momento ho anche odiato. Ma quando l’animo si rasserena ritorna in te la razionalità. Qui ho vissuto per ventidue anni. Quindi per me questa è l’unica città dove ho vissuto per tanto tempo, l’ho amata allora e continuo ad amarla ora».
– Tredici anni fa non si è fatto convincere dai molti amici e colleghi che le consigliavano di adeguarsi come tutti a pagare il pizzo. Che risposte dava allora?
«Ad essere sincero non davo risposte. Non erano solo gli amici ma anche le grandi aziende. I dirigenti di quella grande azienda di cui facevo parte, mi suggerivano di adeguarmi. E’ il concetto di libertà che mi ha consentito, a prescindere dai consigli dei grossi gruppi industriali ad andare dai carabinieri, denunciare e dire tutto ciò che c’era da dire».
– Che effetto fa vivere nell’anonimato?
«Non si tratta di anonimato. Avevo un nome diverso, ma resto sempre Nino Miceli, chiaramente con i miei lati positivi e negativi. Non è poi così importante il nome. A me personalmente non mi ha sconvolto la vita il cambio delle generalità».
– Un particolare episodio della sua vita che lo ha sconvolto in modo particolare?
«Nel libro parlo di vari episodi. In quel periodo avevo una sensibilità particolare. Però se devo discutere delle forze dell’ordine che per quattro anni sono stati affianco a me gomito a gomito, non posso che parlare bene dell’Arma dei carabinieri che è stata sempre molto sensibile verso i miei bisogni. Anche oggi ho potuto constatare come le forze di polizia della provincia si siano comportati con me con grande professionalità. Se ti succede qualcosa, no è all’amico che devi rivolgerti che ti risolve il problema dicendoti che basta pagare una somma. Sono le forze dell’ordine e l’associazione antiracket, i soggetti cui bisogna rivolgersi. Il concetto di libertà va associato con il concetto di tutela della libertà. Chi tutela la libertà se non le forze dell’ordine?»
– Tano Grasso ha scritto la prefazione del suo libro. So che le è stato anche molto vicino. Questa lotta di libertà riuscirà a sconfiggere la mafia?
«Credo che la mafia, facendo parte del male, rientrerà sempre nella battaglia mai vinta e mai persa del bene contro il male. Su Tano Grasso, e l’ho riportato sul mio libro, mi chiedo quale esito avrebbe avuto la mia storia se la mia vita non si fosse incrociata con quella di Tano Grasso. C’è poi un punto interrogativo su cui non posso dare una risposta né io né gli altri. Però c’è una risposta certa. In un momento particolare la fortuna mi ha preso per i capelli ed è stato quando mi sono incontrato con Tano Grasso. Oggi sto bene e non solo di salute. I miei figli stanno bene e non hanno mai avuto problemi, nessuna disgrazia in famiglia. Possono esserci state delle posizioni diverse che in modo civile abbiamo risolto».
– Per aiutare i cittadini vessati dal pizzo e Renzo Caponetti presidente dell’antiracket, quale messaggio dà Nino Miceli?
«Renzo Caponetti abita in Via Venezia 183. Miceli Antonino abitava in Via Venezia 183. Abbiamo vissuto nello stesso condominio. Quando una palazzina si ribellava, fatto salvo alcuni soggetti, alla presenza di questo individuo Nino Miceli, Renzo Caponetti mi invitava a pranzo a casa sua. Chi altro avrebbe potuto assumere la carica di presidente dell’associazione antiracket a Gela? Lui è un ragazzo intelligente, attivo. Sempre in movimento. Sono contento dei risultati che ha avuto da un lato, e dall’altro il solito rimpianto perché non è successo allora. Ecco perché io dico ai commercianti di avere fiducia nelle forze dell’ordine e nell’associazione».
– A margine della copertina c’è scritto: Nino Miceli è morto per lo Stato e per la società il 10 maggio 1996. In quella data è nato un altro uomo il cui nome non sappiamo né dobbiamo sapere. Questo libro ci dice il perché. Vogliamo dirlo in sintesi?
«Nel momento in cui tu cambi generalità, naturalmente, tu non puoi andarlo a dire ad altri. Le nuove generalità ti servono per condurre una vita normale in un contesto normale, magari in una zona dove si parla una lingua diversa dalla nostra. Non ci sono altre spiegazioni, ma Nino Miceli resta sempre quell’uomo di prima con i suoi pregi, difetti e sentimenti. E’ sempre lo stesso uomo. E’ uno, nessuno, centomila. Nella realtà resta sempre la stessa persona».
– Questo libro è rivolto anche a quei commercianti vessati dal pizzo. C’è scritto che aiuta a resistere. E’ servito anche lei?
«Credo proprio di sì. Non bisogna necessariamente fare ciò che ho fatto io. Il commerciante non è necessario che debba armarsi di microfonino, di registratore e registrare le conversazioni dei mafiosi. No. Bastano altre cose. Basta dire mezze cose all’associazione, alle forze dell’ordine. Poi ci penseranno loro. La mia azione allora era una sfida di un uomo, di Nino Miceli. Quest’uomo ha detto che avrebbe vinto ed ha vinto».
Autore : Nello Lombardo
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