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notizia del 18/05/2010 messa in rete alle 11:48:31
Piattaforme off-shore, nessun rischio, ma...
Le immagini del disastro ambientale causato dal collasso di strutture off-shore utilizzate dalla multinazionale “British Petroleum” nell'area del Golfo del Messico, hanno indubbiamente prodotto timori, in alcuni casi anche giustificati, innescando riflessioni sul da farsi.
Gela, vero banco di prova dell'estrazione e del pompaggio petrolifero in mare, al punto da ospitare la prima piattaforma off-shore al mondo, è divenuto, nel corso del tempo, uno dei centri più importanti, in Italia, e non solo, per questo particolare settore.
I pareri dei tecnici sentiti appaiono tutti univoci, le tre piattaforme off-shore presenti all'interno della costa gelese non possono minimamente paragonarsi al caso statunitense: tutto tranquillo, insomma.
Anche Pietro Lorefice, responsabile della locale Lega-mbiente, non ha dubbi, “la piattaforma decaduta, poteva de-finirsi a spinta bloccata, nel senso che non poggiava su strutture fissate in profondità, a differenza di Prezioso, Perla e Gela 1, che, invece, sono rette da pilastri fissati stabilmente al fondo, e comunque parliamo di profondità assai ridotte rispetto a quelle del Golfo del Messico”.
Le tre piattaforme gelesi, attualmente gestite da “Enimed” del gruppo Eni, che si occupa dell'intero sistema di pipelines, in terra, e sealines, in mare, dunque, non sembrano preoccupare né gli esperti né, tanto meno, il fronte ambientalista: fiducia legata ai sistemi di monitoraggio impiegati dalla multinazionale, oramai praticamente dominati da un monitoraggio quasi esclusivamente telematico, senza la necessità di disporre di personale entro il perimetro delle strutture.
Lo stesso Lorefice, però, fa notare che, aldilà dei controlli a distanza, utili anche per individuare eventuali perdite di greggio segnalate da cali di pressione, sono previsti periodici monitoraggi condotti da speciali squadre di controllo.
I timori, inoltre, vengono attenuati da una costante manutenzione, in altri casi assente.
“L'unico problema, almeno secondo la nostra esperienza,-racconta sempre il responsabile di Legambiente- può sorgere da eventuali disagi legati ai pozzi di pompaggio piuttosto che alle strutture, anche perché il sito gelese è, allo stato attuale, utilizzato esclusivamente per la fase di estrazione, in assenza di esplorazioni atte all'individuazione di possibili nuovi pozzi”.
Addirittura, la lunga presenza delle tre gemelle Eni ha generato, al pari di altri siti sparsi per il mondo, come rilevato da uno studio condotto dall'istituto, Ispra, l'insorgere di nuovi ecosistemi marini, meta di specie oramai adattatesi alla presenza di simili strutture.
Secondo Legambiente, inoltre, neanche la fase cosiddetta, post-mortem, delle piattaforme off-shore può destare particolare preoccupazione, “normalmente, infatti, queste vengono smontate in tempi rapidi, ed in ogni caso a Gela questo non avverrà certamente nell'imminente futuro, ovviamente le operazioni più delicate riguardano la chiusura dei giacimenti, onde evitare che possano generare disagi all'intero ecosistema circostante”.
Qualora i prezzi del greggio dovessero mantenersi elevati, sintomo di una domanda comunque in aumento, anche la voglia di esplorazioni potrebbe, però, divenire sempre più frenetica: per tale ragione, la stessa organizzazione ambientalista ha voluto proporre alcune osservazioni al recente piano paesistico, tutte finalizzate ad imporre dei vincoli, fissati ad almeno dodici miglia marine dalla costa gelese, alla installazione di nuove piattaforme o, in ogni caso, di ulteriori impianti.
“Tanto per intenderci, gli impianti off-shore dell'Eni sono, di certo, l'ultima minaccia alla stabilità ambientale della nostra città, c'è ben altro di cui preoccuparsi, anche se l'attenzione non guasta mai”.
Prezioso, Perla e Gela 1, insomma, sono destinati a permanere nello sfondo di uno sviluppo, stentato, ma, comunque, rispettoso delle norme di legge e degli standards qualitativi: questi, infatti, insieme agli altri impianti presenti al largo delle coste siciliane, contribuiscono per il 9% all'intera produzione nazionale di greggio generata dalla multinazionale lombarda.
Se abbiano, poi, assicurato lo sviluppo dell'economia locale, è un altro discorso, assai lungo da condurre.
Autore : Rosario Cauchi
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