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notizia del 14/05/2013 messa in rete alle 10:36:11
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A Peppino Impastato l’aula multimediale dell’Eschilo
È stata dedicata a Peppino Impastato, simbolo della lotta alla mafia, la nuova aula multimediale del Liceo classico di Gela. La cerimonia di intitolazione è avvenuta giovedì 9 alla presenza del presidente dell’Ordine degli avvocati Antonio Gagliano, dei comandanti della Guardia di finanza, della Capitaneria di porto e della Polizia di Stato, del vicesindaco Ferracane e del procuratore della Repubblica Lucia Lotti, che ha aiutato il dirigente scolastico Gioacchino Pellitteri a scoprire la targa. La nuova aula è stata benedetta da don Giuseppe Fausciana.
«L’idea di intitolare l’aula multimediale all’attivista ucciso dalla mafia – ha dichiarato Pellitteri – proviene dal comitato studentesco di questa scuola, e la proposta è stato accolta all’unanimità dal consiglio di istituto. All’inizio avevo qualche perplessità, ero più orientato a scegliere un grande studioso e letterato, ma poi ho aderito alla proposta, perché il giovane Impastato è diventato per i ragazzi un simbolo della ribellione alla criminalità».
Una giornata importante quella di giovedì scorso, che ha voluto onorare e celebrare in tutta Italia, le vittime del terrorismo e della criminalità. Trentacinque anni fa a Roma veniva trovato morto il presidente della Dc Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse, una punizione contro la classe politica per dimostrare il dissenso nei confronti di uno stato imperialista delle multinazionali e nei confronti di un compromesso storico che consentiva un’apertura di dialogo con il Pci. In quello stesso giorno del 9 maggio del 1978 a Cinisi la mafia eliminava il giornalista Peppino Impastato, una punizione esemplare per i suoi coraggiosi attacchi pubblici, nella trasmissione satirica Onda pazza in onda nell’emittente radiofonica Radio Aut, rivolti al boss Tano Badalamenti, la cui abitazione era a cento passi dalla casa del giornalista. Uno pugliese e l’altro siciliano, il primo democristiano e il secondo comunista, accomunati solo dalla grande passione per la giustizia e per il bene comune. Due simboli di come si può morire per un ideale, che il Liceo classico ha voluto ricordare in un convegno che ha seguito la cerimonia di inaugurazione dell’aula.
«Sia Moro che Impastato – ha detto la Lotti – per me sono stati esempi di cittadinanza attiva. Avevo 22 anni ed ero a Firenze quando si diffuse la notizia dell’uccisione di Moro e ricordo che si formò immediatamente, a piazza della Signoria, una mobilitazione spontanea di gente che sentiva il bisogno di testimoniare la forza della cittadinanza, a prescindere dall’ideologia politica di appartenenza. Quando ho visto il film Cento passi, non avevo ancora idea di venire a vivere in Sicilia. Rimasi molto colpita dalla figura di Peppino Impastato, un giovane impegnato che, nonostante vivesse in un piccolo paese, non si poneva come soggetto isolato, ma come portatore di idee libere, in grado di coinvolgere tutta la nazione. Era espressione di cittadinanza attiva che andava al di là di Cinisi».
La conferenza è iniziata con la lettura di testi e con riflessioni sul cronista siciliano, da parte di alcuni alunni del liceo classico. Da sottolineare la testimonianza di Emilio Tallarita, consigliere comunale di Butera e vittima di mafia.
«La mafia – ha commentato Tallarita – può uccidere chiunque, non solo chi appartiene alle forze dell’ordine o chi lotta ogni giorno contro di essa. Mio padre era una persona umile, dipendente dell’Eni, la cui unica colpa è stata quella di avere avuto un alterco con un pastore ragazzino, le cui pecore stavano pascolando nel suo terreno coltivato a grano. Quel pastore da adulto è diventato un boss della stidda gelese e ha incaricato i suoi guardiaspalle di eliminare mio padre. La lotta alla mafia deve iniziare dalla scuola e dal voto. Bisogna votare gente onesta e competente a prescindere dell’appartenenza politica perché molti politici sono collusi con la malavita».
Tra i relatori vi era anche l’avvocato Gagliano che si è soffermato sulla figura di Aldo Moro, mettendo in evidenza come l’ex segretario nazionale della Dc sia stato ucciso per aver cercato di abbattere quel muro esistente tra laici e cattolici. Moro era il simbolo vivente del dialogo tra due blocchi contrapposti, questo era il suo peccato più grande per i terroristi e doveva pagare e ha pagato anche per chi non ha mosso un dito per salvarlo: la Dc e il Pci. E a nulla valsero le lettere drammatiche che egli ha spedito nei suoi giorni di prigionia ai compagni del suo partito.
Autore : Filippa Antinoro
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