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notizia del 29/11/2008 messa in rete alle 10:07:33
Ambiente, sete di normalità
Il nostro sindaco affida ai media il risalto dell’allarme sanitario per le ricadute di contaminazione che l’industria locale ha determinato nei 45 anni di presenza a Gela. Un allarme noto alla cittadinanza, almeno come percezione, ma scaturito dall’incontro del sindaco con i direttori dei Ministeri dell’Ambiente e della Salute. Non è chiara invece l’estensione e l’entità della contaminazione verso il territorio utilizzato per la produzione agricola. Elemento che conviene chiarire per non destare un catastrofismo che non serve a nessuno.
La richiesta del sindaco è principalmente quella di avviare, tramite il Ministero dell’Ambiente, un iter di richiesta di risarcimento di tali effetti a beneficio della popolazione gelese. Su questo tema non ci sono grandi ragionamenti da produrre, per due motivi, primo: il risarcimento non sana l’accaduto, rende solo tangibile, in termini economici, la responsabilità dell’industria locale. Secondo: l’utilizzo del risarcimento apre un’altra questione inerente l’indirizzo di spesa del risarcimento economico medesimo. Pertanto ai fini di una proiezione sul futuro la questione incide in maniera relativa.
Va comunque chiarito preliminarmente un principio di responsabilità. Ogni accusa che si rivolge alla raffineria, in termini di interazione ambientale con ricadute sanitarie, non è un’accusa che vede assolvere totalmente il comune e gli enti preposti al controllo ed all’iniziativa di tutela della cittadinanza. Comune, istituzioni ambientali e raffineria non sono variabili scorrelate ed indipendenti. Pertanto un’accusa mossa alla raffineria, anche se con distribuzione di pesi differente, è anche un’accusa mossa alle istituzioni pubbliche che hanno almeno la responsabilità di poter attenuare impatti e ricadute. Quanto più è prevalente l’impeto di porre sotto accusa una parte, tanto più nasce l’interrogativo sul ruolo della controparte sul tema.
Come semplice cittadino ritengo che la questione realmente rilevante è invece un’altra. Quale “governance” il comune intende sostanziare per un rapporto più cautelante rispetto all’industria? Cautelante per la salute della cittadinanza? La vera questione è proprio la proiezione al futuro di questo rapporto. Un rapporto che, a differenza del passato, non ci esponga a percezioni, preconcetti, timori strumentalizzabili e ci consenta invece di elaborare pareri un po’ più oggettivi. La vera lacuna che i cittadini avvertono sta nell’interazione non strutturata ed instabile che ancor oggi caratterizza la sfera industriale e la sfera pubblica.
Le limitazioni di questo rapporto possono essere riassunte nelle seguenti enunciazioni. Un’interazione con l’industria instabile ed alternata: un giorno si esaltano gli investimenti, il nuovo corso di apertura e trasparenza, il giorno dopo si attacca la fabbrica sugli aspetti ambientali e sugli incidenti operativi che coinvolgono l’ambiente. Altra connotazione è il linguaggio. La fabbrica ed il comune parlano, quando ciò accade, con linguaggi e semantiche differenti, ognuno diversamente orientato. La prima propende per un approccio empirico/tecnico, il secondo si accontenta di dichiarazioni di intenti e di rassicurazioni. Un altro elemento è il monitoraggio dei trend significativi sull’ambiente, monitoraggio di cui si sente molto poco accennare nei discorsi dei rappresentanti pubblici, soprattutto in un’ottica di trend comparati rispetto a periodi storici precedenti, per capire se ci sono tendenze al miglioramento od al peggioramento. In ultimo, la condivisione delle tematiche generali inerenti i grandi mutamenti che la fabbrica, negli anni, affronta per stare al passo con la competitività del mercato e del business.
Tutti questi elementi sembrano mancare nel dialogo non strutturato che il comune intrattiene con la raffineria. Le interazioni sono episodiche e quando avvengono tendono alla richiesta di rassicurazioni generali o l’intimazione di azioni altrettanto generali. E’, come dire, un rapporto tra due entità che non voglio varcare entrambe il loro perimetro. E questo rapporto dura da decenni.
In sintesi, il rapporto sembra risultare instabile ed alternato, senza un linguaggio comune, poco oggettivizzato, disattento alle questioni generali interne al business di fabbrica. Tutti elementi che favoriscono l’impetuosità nell’affrontare i veri temi ambientali, trasformandosi in potenziali atti di giustizialismo anziché di “governance” del rapporto.
Non ho mai capito come possa, una città come Gela, non sentire il bisogno di predisporsi in maniera particolare, anche unica, nel rapporto con una realtà altrettanto complessa e impattante. Ad esempio attrezzando un assessorato ad hoc o, in alternativa, delle “unità di collegamento permanenti” che abbiano lo scopo di condividere monitoraggi oggettivi, adeguare il linguaggio con cui interagire, condividere rapporti di sostenibilità, collaborare nei piani di emergenza per incidenti rilevanti, condividere opportunità di miglioramento in cui la parte pubblica faccia pesare le proprie istanze, ma in regime di interazione strutturata e continuativa. Questo significa attrezzare queste unità di collegamento con specialisti reclutati da aree attinenti la sicurezza e l’ambiente. Significa altresì richiamarsi alle certificazioni di sostenibilità e sviluppo etico del business, oggi ormai mature. Il tutto a vantaggio di un presidio che superi i perimetri e veda azienda e comune come interlocutori diversi ma entrambi strutturati nell’interazione.
La cittadinanza ne risulterebbe più garantita e meno sottoposta a campagne alternate di lodi o di allarmismi: sete di normalità appunto. Il tema ambientale è un tema serio e non consente semplificazioni o scorciatoie. Ma senza varcare i rispettivi perimetri non si governa il tema, anzi si rischia di cadere nella manichea soluzione di accettare lo status quo o eliminare l’industrializzazione. Ragionamento facile ma pieno di incognite.
Autore : Sebastiano Abbenante
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